Scienza

E se, con le cellule staminali, imparassimo a riparare i denti danneggiati?

Un team dell'Università di Washington ha dimostrato la possibilità di ricostruire, in laboratorio, lo smalto colpito dalla carie — Ci vorrà del tempo e tanti test, però, prima che il metodo venga applicato nella medicina
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Red. Online
19.08.2023 16:45

Duri. Ma anche fragili e bisognosi di una cura costante. Oltre che indispensabili nella vita, letteralmente, di tutti i giorni. Stiamo parlando dei denti. Questi piccoli gioiellini evolutivi ci permettono ogni giorno di cibarci in modo efficiente, tramite la masticazione, e svolgono anche un ruolo importante nella fonetica. Mangiare e parlare, senza, non sarebbe la stessa cosa. Eppure, appunto, rovinarli — o, peggio, perderli — è fin troppo semplice. Alcuni animali, come lo squalo, hanno sopperito a questo difetto sviluppandone di nuovi per tutta la vita. All'essere umano, purtroppo, i denti vengono invece forniti in edizione limitata. Uno "starter set", i denti da latte, e poi la "versione pro" con quelli permanenti. Stop. Ecco perché, ce lo insegnano nelle scuole sin dall'infanzia, è importante proteggerli.

Povertà, diete stracariche di zuccheri e scarsa igiene fanno sì che circa un terzo della popolazione mondiale soffra di carie: l'acido prodotto dai batteri che vivono nella nostra bocca intacca lo smalto (che ricopre la parte esterna del dente), penetrando nell'organo e andando in profondità, portando anche a dolorose infezioni e danni supplementari. Normalmente, una volta che il processo è avviato, si può fare ben poco: in genere, il dentista riempie il "buco" creatosi nel dente con un tappo artificiale, un'otturazione. Ma uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Cell offre un'alternativa. Un altro modo per far ricrescere, normalmente, lo smalto del dente.

© Sam Fentress/Wikipedia
© Sam Fentress/Wikipedia

Studiare le origini

Come salvaguardare e, soprattutto, riparare lo smalto, il prezioso strato protettivo che ricopre i denti? Nello studio pubblicato la scorsa settimana, un team di ricercatori dell'Università di Washington mostra come le cellule staminali — che hanno la capacità di trasformarsi in qualsiasi altro tipo di cellula del corpo — possano essere utilizzate per questo scopo.

L'Economist, che al tema ha dedicato un podcast, ha intervistato una ricercatrice, la professoressa Hannele Ruohola-Baker. Al settimanale britannico, Ruohola-Baker ha spiegato come il primo passo per risolvere il rebus sia stato capire esattamente come viene prodotto lo smalto. È qualcosa di risaputo, ormai, che i denti — sebbene "spuntino" tipicamente attorno al sesto mese di vita — sono "preparati" nei loro elementi costitutivi già attorno al primo mese di vita embrionale. Le cellule che producono lo smalto, note come ameloblasti, scompaiono subito dopo che i denti adulti di una persona hanno finito di crescere. Per studiarli, dunque, i ricercatori si sono rivolti a campioni di tessuto provenienti da feti umani abortiti, sia per via medica che naturale. Tessuti che contengono molti ameloblasti funzionanti. Similmente si è fatto con gli odontoblasti, cellule che producono lo strato inferiore allo smalto, la dentina (vedi schema). Tramite questi studi, i biologi sono stati in grado di verificare quali geni fossero attivati dal corpo umano per la produzione di questi elementi.

Nel caso dello smalto — composto principalmente da fosfato di calcio —, i ricercatori hanno osservato una grande attività dei geni volti alla codifica di proteine progettate per legarsi al calcio. 

Le staminali

Ma il bello arriva adesso. Basandosi su queste osservazioni, Ruohola-Baker e colleghi hanno ideato un cocktail di farmaci con il quale spingere le cellule staminali a trasformarsi in ameloblasti. Un successo: gli ameloblasti costruiti in laboratorio hanno prodotto le stesse proteine di quelle naturali. Di più: se messi in coltura insieme a degli odontoblasti ingegnerizzati (costruiti a partire dalle cellule staminali tramite un altro cocktail di farmaci), gli ameloblasti sono indotti ad esprimere con maggiore intensità i geni che codificano le proteine per lo smalto. 

Servirà pazienza

Insomma, è fatta? È stata trovata una soluzione definitiva per combattere i danni provocati dalla carie? Non proprio. Per ora, hanno sottolineato i ricercatori, lo studio è più un esercizio di laboratorio che un vero prototipo di trattamento medico. Perché questa tecnologia finisca nelle mani dei dentisti bisognerà avere pazienza. Un primo passo, ha spiegato la ricercatrice all'Economist, sarà quello di migliorare la produzione di smalto nelle cellule create in vitro: la speranza è che i tessuti generati possano essere utilizzati come impianti biologici per rigenerare i denti colpiti dalla carie. Andrà studiata, poi, la resistenza dello smalto prodotto da questi ameloblasti derivati da cellule staminali. E, soprattutto, il modo migliore per applicare il trattamento medico al dente interessato. Nel frattempo, ovviamente, il consiglio è sempre lo stesso: prevenire è meglio che curare.