Ticino

«Giovani sempre più fragili»

A colloquio con la magistrata dei minorenni, Fabiola Gnesa, sull’anno impegnativo appena trascorso, durante il quale gli incarti aperti e le incarcerazioni sono state da record: «Dietro c’è un mondo fatto di disagio, ma a volte è frustrante perché in Ticino mancano le strutture adeguate»
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Paolo Gianinazzi
26.01.2024 06:00

È stato un anno complicato, il 2023, per la Magistratura dei minorenni. Un anno «difficile», per usare le parole di Fabiola Gnesa, alla testa di questa istituzione dall’ottobre del 2022. Un anno caratterizzato, detto altrimenti, da parecchio lavoro.

Basti pensare, per dare qualche cifra, che il numero degli incarti aperti ha fatto segnare l’ennesimo record (mentre l’organico della magistratura dei minorenni «è rimasto invariato, con le difficoltà che ne derivano», come sottolinea Gnesa). Nel 2021, infatti, erano stati 1.119. Poi, l’anno seguente, con un incremento del 14%, erano saliti a 1.284. E nel 2023, infine, con un’ulteriore crescita dell’11% siamo arrivati a 1.426. «Numeri che non si erano mai visti prima», racconta Gnesa. «Certo - rileva la magistrata - non tutti sono incarti gravi. Ad esempio, abbiamo tante querele per i ragazzi che non pagano i biglietti dell’autobus. Ma non sono mancati pure i casi di una certa rilevanza».

Anche qui, per fornire una cifra significativa, basti pensare che le incarcerazioni tra i minorenni hanno anch’esse toccato una punta mai vista prima: «Ci sono state circa 50 incarcerazioni», racconta Gnesa. «Per i minorenni si tratta di numeri importanti. Normalmente, infatti, ci aggiriamo attorno alle 20/25 incarcerazioni all’anno». La tendenza per i casi di una certa gravità, spiega ancora Gnesa, «è in crescita». Ad esempio, «sono aumentate le rapine, le piccole estorsioni e le aggressioni, che poi portano all’arresto». Insomma, dietro queste cifre «c’è un disagio generale, legato in parte anche ai giovani richiedenti l’asilo o presunti tali, ma pure alla società tutta».

Le strutture che mancano

Ma in questo contesto, il crescente disagio non è l’unico problema. «Il diritto minorile non è solo punitivo, ma prima di tutto ha uno scopo educativo e protettivo», premette Gnesa. «E prima di prendere una decisione dobbiamo quindi comprendere la situazione personale del ragazzo. Capire che cosa si celi dietro quel reato. Il diritto penale minorile prevede oltre alle pene, anche le misure protettive sia ambulatoriali che stazionarie. La misura protettiva ambulatoriale, che lascia i minori sul territorio, viene eseguita dagli educatori della Magistratura dei minorenni che hanno il mandato di accompagnare in modo continuo il minore e la famiglia, ascoltandoli, portandoli a una piena consapevolezza e all’autonomia. La misura del collocamento in un istituto è sempre l’ultima ratio. In alcuni casi, però, malgrado poi ci sia una perizia che indica la necessità per il ragazzo di essere seguito con un collocamento anche - in particolare - di tipo terapeutico, e non solo educativo, non ci sono le strutture per farlo». In Ticino, detto in altre parole, «sempre più ragazzi presentano fragilità tali per le quali dovrebbero essere seguiti anche dal punto di vista psicologico in modo stazionario, ma mancano le strutture adeguate». E ciò, ammette Gnesa, «a volte è un po’ frustrante. Perché la legge ci dice che cosa fare, ma qui non possiamo farlo, contrariamente a quanto accade in Svizzera interna». Perciò, ad esempio, «alcuni minorenni vengono mandati alla Clinica psichiatrica cantonale, che ovviamente non è la soluzione più adeguata poiché non è dedicata ai minorenni». E quindi, concretamente, che cosa fate di fronte a questi casi? «Cerchiamo di usare ciò che ci offre la legge, in particolare le pene, usando un po’ di creatività, per dare comunque ai ragazzi la miglior soluzione possibile, mostrando loro che esistono limiti che non possono essere superati», risponde Gnesa. Un esempio: «Oltre ad affiancare, a questi ragazzi, degli educatori che li seguono nel loro percorso, decretiamo pene con norme di condotta di vario genere da rispettare».

Minorenni che non lo sono

In questo ultimo anno in particolare, poi, si è aggiunta un’ulteriore problematica a cui abbiamo brevemente accennato prima. Un tema di stretta attualità, ossia quello «di una parte dei richiedenti l’asilo: i cosiddetti pseudo-minorenni». Giovani, magari sulla ventina o poco più, che per ovvie ragioni si dichiarano all’autorità come minorenni. E che quindi ricadono, nel caso in cui commettano un reato, sotto la giurisdizione della magistratura dei minorenni. «Questo fenomeno - rileva la magistrata - prende molto lavoro e molta energia». Ma, tiene a precisare Gnesa, «il disagio tra i giovani è un fenomeno generale, che appartiene a tutta la società». Sovente, racconta la magistrata, «i ragazzi passano qui da noi per una stupidata, ma poi indagando scopriamo che dietro quella stupidata c’è un mondo fatto di disagio». Un disagio che poi si riflette, ad esempio, «nell’uso delle benzodiazepine», ossia di ansiolitici, che assieme alla marijuana sono la droga che oggi, come spiega Gnesa, va per la maggiore tra i giovani in difficoltà. «Quando chiedo loro perché fumano o prendono gli ansiolitici, mi dicono che vogliono rilassarsi. Forse ciò è dovuto a una società sempre più competitiva, e molti giovani non vi si ritrovano».

La mancanza di riferimenti

Per Fabiola Gnesa, che lavora nella magistratura dei minorenni da 24 anni, a essere cambiate in questi anni sono molte cose. «Non sono una sociologa», premette, «ma penso che i social network non abbiano certo aiutato. Sono strumenti sicuramente importanti, d’accordo, e rispondono alle loro necessità, ma i ragazzi devono imparare a utilizzarli in modo adeguato. Questo perché «hanno estraniato alcuni ragazzi dalla vita reale, mostrando loro una vita che non esiste. E ora il loro scopo è quello di fare gli influencer, oppure di trafficare i bitcoin, perché mirano a fare tanti soldi e a farli in fretta». Vogliono, insomma, tutto e subito. «Tengo a precisare che questa attitudine non riguarda tutti i minori. La maggior parte dei giovani ticinesi desidera trovare il posto di lavoro ideale». Ma, rileva Gnesa, «siamo stati noi, come società, a non abituarli al sacrificio». L’altra costante rilevata dalla magistrata ha infine a che fare con «la mancanza di punti di riferimento, solidi e coerenti. Oggi i ragazzi non ne hanno più». E conclude: «Un tempo in paese c’erano il segretario comunale, la maestra e il prete che conoscevano tutti. E se un ragazzino vagava alle quattro di notte se ne accorgevano tutti. Oggi non è più così».

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