La tendenza

Orologi tra fiere, file e follie

Dopo un 2023 da record, l’inizio di 2024 invita a una maggiore prudenza - Ma i segnali di interesse per alcuni prodotti resistono - Lo testimonia la gente che, a Lugano, aspetta i MoonSwatch
A Watches and Wonders, al Palexpo di Ginevra, c'era anche Kylian Mbappé. La fiera si chiude lunedì. © KEYSTONE / VALENTIN FLAURAUD
Paolo Galli
13.04.2024 06:00

Watches and Wonders. Orologi e meraviglie. La fiera di Ginevra si è presentata questa settimana con grandi ambizioni. Presenti tutti, o quasi, i grandi marchi. Qualcuno ha invece deciso di non esserci. Perché nel settore è decisivo distinguersi. È decisiva l’esclusività. Forse si spiegano anche così, le lunghe code fuori dai negozi di Swatch. L'ultimo esempio: una notte in coda per il MoonSwatch dedicato a Snoopy. Possiamo chiamarla «febbre»? I dati del 2023 ci ricordano che le esportazioni svizzere del settore sono cresciute dell’8% a un record di 26,7 miliardi di franchi. Un idillio? Sì, pur con un minimo di prudenza, anche perché l’inizio di quest’anno ha fatto segnare una crescita meno vertiginosa.

«Non è uno stop strutturale»

Alessandro Recalcati è co-presidente dell’Associazione ticinese dell’industria orologiera (ATIO) e direttore di Timex Group. Con lui facciamo un punto a tutto tondo. E Recalcati decide di partire proprio dal 2023, per sottolineare come si è concluso: «Con un grande risultato, con un picco storico nell’esportazione, trasversale a tutte le aree del mondo. Poi, certo, a farla da padroni sono stati i mercati asiatici, la Cina, Hong Kong. E Hong Kong rappresenta una parziale sorpresa, in qualche modo, perché tutti si aspettavano una normalizzazione, superato il post-COVID e a causa di tutte le tensioni. Ma una riduzione non c’è stata, anzi. Ora, il 2024 è effettivamente partito più in sordina, ma non siamo che all’inizio, e soprattutto arriviamo da un periodo molto forte. Non vedo una problematica strutturale del settore: i dati parlano chiaro». Lo sguardo va subito e sempre alla Cina. Ma raggiungere il cuore di Pechino non era stato un affare scontato. Al contrario. Il boom viene ricondotto al 2010, quando le esportazioni dalla Svizzera alla Cina crebbero del 57% rispetto all’anno precedente. Ma i consumatori e, quindi, i consumi variano nel tempo. «Da allora in effetti c’è stata una crescita progressiva. Hong Kong era, già allora, al primo posto. I cinesi interessati ai prodotti svizzeri andavano a Hong Kong per acquistarli. In Cina è cresciuta la passione per i prodotti con il marchio “Swiss Made”, non solo per quelli dell’industria orologiera. Oltre al mito - già presente - per le macchine, per il controllo numerico, per le tecnologie di precisione, la popolazione asiatica si è fatta più sofisticata nella richiesta dei prodotti, mostrando sempre una certa sensibilità per l’esclusività e per l’unicità legate ai marchi e alla cultura svizzeri».

«Essere a Ginevra conta»

La fiera ginevrina si è tenuta per la 24. volta. Pensata da Richemont per gli orologi di lusso - con i marchi Cartier, Piaget o IWC - ha accolto in questi ultimi anni anche i reduci di Baselworld, e quindi Rolex, Patek Philippe, Hublot, Zenith e Tag Heuer. Recalcati sottolinea: «È una fiera estremamente esclusiva, limitata alla crème dell’industria svizzera, ai grandi marchi». Esserci quindi, evidentemente, conta. «È la vetrina mondiale dell’orologeria di lusso. Ha un taglio diverso rispetto a quella di Basilea (chiusa nel 2019, ndr), dal canto suo più aperta anche ai marchi minori ed emergenti. Essere a Ginevra fa parte dei piani comunicativi e di marketing delle aziende. Non c’è solo questa vetrina, però, i mezzi di comunicazione moderni vanno ormai ben oltre». E si arriva alle code di Swatch. Anche quelle sono strategiche. Swatch Group non era a Ginevra. L’assenza più rumorosa. Ma ogni marchio, come ricorda ancora Recalcati, «è un mondo a sé e costruisce la propria strategia di marketing in modo diverso rispetto alla concorrenza». Swatch Group ha individuato altre vie, altre vetrine semmai. «Il gruppo ha dimensioni tali e brand così importanti che punta su altre modalità comunicative. E poi era legato alla fiera basilese. Ma il bello dell’orologeria è che è fatta di tanti marchi, ognuno con una propria creatività, quindi con traiettorie diverse per emergere rispetto agli altri».

L’online in secondo piano

Negli scorsi giorni, Le Temps - che ha seguito da vicino la fiera - ha pubblicato un interessante approfondimento sul settore, sottolineando come le boutique, i cosiddetti «store», stiano soppiantando le vendite online. Leggiamo: «Il piano dell’industria? Essere in contatto diretto con i clienti. L’industria immaginava il digitale come una soluzione, ma è stata la distribuzione in negozio a prevalere. E con essa, concetti innovativi». Ne parliamo quindi anche con Alessandro Recalcati, che sottolinea: «L’online, come altri fenomeni esplosi durante la pandemia, si sta riassestando. È un ribilanciamento, tra vendite online e fisiche, che riconosciamo a tutti i livelli del commercio. Poi va fatto un distinguo, perché i grandi brand, negli ultimi anni, hanno preso una decisione, in qualche modo comune: abbandonare, o quantomeno ridurre, la distribuzione tradizionale in negozi multimarchio, per virare su punti vendita monomarchio. Lo scopo: seguire la distribuzione in tempo reale e distribuire, ognuno, il proprio mondo. Ecco allora che, anche nel digitale, i brand hanno investito sui propri siti istituzionali, piuttosto che lasciare i propri prodotti a piattaforme multimarchio. Questo sempre nell’ottica dell’esclusività». Online come offline, insomma. Anche se l’online ci sembra, al massimo, complementare, a questo punto, rispetto alle vendite negli store.

«Beni su cui investire»

E torniamo alle notti passate sdraiati fuori dai negozi. Fenomeni, come azzarda ancora Recalcati, «proprio legati alla bellezza e alla varietà di questo settore. E al fatto che oggi c’è sempre più richiesta di esclusività. Ridotta la distribuzione su diversi negozi, i gruppi si sono concentrati sulle proprie boutique per offrire esperienze d’acquisto il più possibile uniche». E l’orologio è qualcosa che va oltre il contare le ore. Un bene in cui rifugiarsi. «Notavo, tra i dati dell’export di questo inizio di 2024 - prosegue il co-presidente di ATIO -, che l’unica categoria ancora in crescita è quella degli orologi in oro. L’oro d’altronde è cresciuto negli ultimi tre mesi in modo pazzesco. E allora anche degli orologi si può parlare come di un bene di investimento». Si investe sugli Swatch, quindi? «Per quanto riguarda Swatch e la sua collaborazione con Omega, si sono unite due passioni, quella per i brand e quella per lo Spazio, per l’avventura. E si è generato questo fenomeno gestito incredibilmente bene, con l’introduzione costante di nuovi modelli esclusivi, su temi specifici. Un traino per tutta l’orologeria».

«I brand controllano l’usato»

Anche per il ramo del «second hand», dell’usato, seppure di lusso. Su questo aspetto, al netto dei dati, Recalcati prova ad andare oltre: «Tutto ha un valore e viene commercializzato, d’accordo, ma il mercato degli orologi trova sbocchi soprattutto tra i collezionisti, tra gli amanti dei prodotti, non particolarmente in chi vuole guadagnarci attraverso una successiva rivendita». Insomma, non lo vede come un motore delle vendite. «Anche perché poi il mercato è sempre più controllato dai grandi gruppi, che cercano di escludere le possibili speculazioni sui prodotti, stimolando invece i collezionisti. La strategia messa in atto per esempio da Swatch è vincente: sta massimizzando il valore del marchio. L’usato è interessante anche nell’ottica di evitare una sovrabbondanza di prodotti nuovi sul mercato. I brand vanno oltre, creando una carenza rispetto alla domanda, e poi strutturando i sistemi relativi proprio al “second hand”, a una nuova commercializzazione dei propri prodotti, affinché avvenga in modo trasparente, senza pregiudicare la qualità e il nome del marchio. L’attenzione, in questo senso, è alta. Come lo è nei confronti della sostenibilità dei propri prodotti, e infatti si lavora molto sulla lunghezza del ciclo di vita degli orologi. Sono temi che diventeranno sempre più rilevanti». E che dovranno permettere all’export svizzero di rimanere sui livelli del 2023. Da record.

«Il mercato dell’usato è positivo per il valore del marchio»

I contenuti dell’intervista a Alessandro Recalcati trovano conferma nei rapporti annuali di Deloitte - la nota azienda di servizi di consulenza e revisione -, in particolare proprio in quello del 2023. Emergevano infatti i dati della crescita, ma anche le previsioni meno ottimistiche per il 2024. Le principali ragioni di questo orientamento - si diceva - sono l’incertezza geopolitica, l’inflazione e la crisi del costo della vita. Previsioni che poi, abbiamo scoperto, si stanno avverando. Sugli equilibri tra vendite online e offline, si leggeva: «La maggior parte dei marchi e dei rivenditori prevede che nei prossimi cinque anni le vendite offline domineranno quelle online. Più l’orologio è costoso, più è probabile che il cliente lo acquisti offline. La maggior parte dei brand investe nell’espansione dei propri spazi di vendita al dettaglio». E sulle fiere: «Nove dirigenti su dieci ritengono che le fiere dell’orologeria siano cruciali per entrare in contatto con i potenziali clienti e accrescere la propria base di pubblico». Molto interessanti anche le previsioni sul mercato del secondo polso degli orologi svizzeri: attualmente vale circa 20 miliardi di franchi svizzeri, ma entro la fine del decennio potrebbe valere quasi 35 miliardi, oltre la metà di quello del nuovo. Uno studio di Boston Consulting Group prevede, per il secondo polso, già per il 2026 un mercato da 35 miliardi di dollari, a fronte di un valore di 66 miliardi per il mercato del nuovo. Insomma, le proporzioni sarebbero queste. Secondo gran parte degli addetti ai lavori, il mercato dell’usato, potenzialmente, può influenzare in maniera positiva la percezione del marchio e il valore del marchio. Molti stanno investendo sulle proprie piattaforme anche per quanto concerne il mercato del secondo polso. Basti pensare a Rolex, che nel 2022 ha introdotto il programma Certified Pre-Owned. Orologi usati e certificati. L’esclusività insomma non vale solo sul nuovo.

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