Il riconoscimento

Scatti in tempo di guerra: «Scindere immagini e sentimento»

Il fotografo Alex Kühni, al quale è stato conferito il riconoscimento Swiss Press Photographer of the Year, racconta le sue istantanee dal conflitto in Ucraina: «C’è sempre una parte del mio lavoro che non posso influenzare»
© CdT/Gabriele Putzu
Irene Solari
29.02.2024 19:45

Serve un sottile equilibrio per mantenere separati due mondi. Quello al di qua della lente della macchina fotografica e quello che si trova al di là. Ciò che si vede e ciò che si prova. Non sempre è facile. E, soprattutto, non lo è quando ci si trova su un campo di battaglia come quello della guerra in Ucraina, dove Alex Kühni è arrivato, viaggiando da solo. Il giovane fotografo, al quale è stato conferito il riconoscimento Swiss Press Photographer of the Year, ha partecipato questa mattina, nella Sala Arsenale del Castelgrande, all’apertura dell’esposizione Swiss Press Photo 23. Insieme con lui, Mario Branda, sindaco di Bellinzona e Michael von Graffenried, fondatore dello Swiss Press Photo e CEO dello Swiss Press Award.

Quali sono, gli domandiamo, i sentimenti che un fotografo prova quando scatta immagini come queste, nel mezzo della guerra in Ucraina? «Diversi posti che ho visitato erano veramente orribili, c’è la devastazione della guerra e si vedono molte persone morte. In questi casi, devo utilizzare la mia macchina fotografica come un filtro tra la realtà, dove stanno succedendo queste cose, e me stesso. Così che posso focalizzarmi soltanto sull’immagine cercando di non restare troppo coinvolto da quello che vedo, perché nella maggior parte dei casi è troppo triste e deprimente».

Un difficile gioco di astrazione, spiega il fotografo. Che va fatto non solo per salvaguardare il proprio equilibrio psicofisico, ma anche per pure e semplici ragioni di pubblicazione: «Nella maggior parte dei casi, devo rendere il più astratta possibile la scena che vedo, così da avere una possibilità di essere pubblicato».

Le immagini catturate al fronte sono infatti troppo dure per gli occhi del pubblico. «Quando ti trovi in una guerra, nel mezzo della distruzione, ci sono cadaveri ovunque, se scatti una foto ‘‘normale’’ il quotidiano ti dice: ‘‘No, non possiamo assolutamente pubblicare una cosa del genere, è troppo esplicita e cruda’’». Kühni cita ad esempio la fotografia di un elicottero schiantato al suolo: «quello che ho fatto è un’astrazione della scena, volevo che sembrasse un dipinto».

O quella con alcuni soldati morti ai lati della strada: «C’è un carro armato sullo sfondo, mentre i cadaveri sono in primo piano ma io ho messo il punto focale sul carro armato, in modo che le figure dei morti venissero sfocate. È una sfida che devo affrontare spesso in queste situazioni: fare astrazione dalla brutalità delle immagini per avere una possibilità di vederle pubblicate».

In un contesto come quello della guerra, spiega ancora, «c’è un fattore statico che posso scegliere di inquadrare, combinato con una parte che invece non posso influenzare, come un missile che colpisce un edificio proprio nel momento in cui sto scattando la mia foto». E quanto al rischio che si corre lavorando come fotografo al fronte, Kühni risponde che naturalmente c’è il pericolo ma che questo non è nulla se paragonato con quanto soffrono le persone che vivono la guerra sulla loro pelle.

Correlati