Tumori infantili

Anche i medici piangono

Il professore Andrea Biondi racconta la sua esperienza in corsia, lunga quarant’anni, con i bambini malati di tumore - Oltre alla guarigione, l’obiettivo è che possano diventare adulti sani - Il ruolo della ricerca: «Abbiamo bisogno di più investimenti dalle aziende»
©Chiara Zocchetti
Jenny Covelli
30.04.2024 06:00

«Qualche mese fa, mentre prendevo un caffè all’aeroporto di Malpensa, mi si è avvicinata una signora. Mi ha detto: ‘‘L’ho riconosciuta, lei mi ha curato quando ero bambina. Venga, mi piacerebbe presentarle mio marito e mio figlio’’. Questo, per me, racchiude il vero significato di guarigione dal tumore infantile». A parlare è Andrea Biondi, professore all’Università Milano-Bicocca e direttore scientifico della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza. Quarant’anni al servizio dei bambini, dedicati alla lotta contro i tumori pediatrici.

Tra il 2016 e il 2020, ogni anno in Svizzera sono stati colpiti dal cancro in media 250 bambini sotto i 14 anni. I miglioramenti terapeutici hanno consentito di accrescere l’efficacia dei trattamenti: oggi il tasso di guarigione supera l’80 percento. «La storia dei tumori del bambino e dell’adolescente - la leucemia linfoblastica è la più frequente nella fascia 0-14 anni, i linfomi nella fascia 14-18 - è cambiata in modo straordinario», spiega il professor Biondi. «La nostra sfida è curare meglio. L’obiettivo è che un bambino che si ammala possa guarire e diventare adulto. Un adulto sano, non un malato cronico». Come farlo? Con trattamenti più mirati, meno tossici ma funzionali. «Non bisogna inoltre dimenticare che il 10-15 percento dei bimbi che si ammalano muore. E sono sempre troppi. I tumori rappresentano la maggiore causa di morte sotto i 14 anni nei Paesi ricchi».

Una vita al servizio dei piccoli

Il dottor Biondi fa i conti con la sofferenza dei bambini da quarant’anni. «Non ci si abitua mai», ammette. «Il camice non è una barriera di protezione. Di fronte alla morte di un piccolo, come ahimè è successo nel weekend a una bimba di 9 anni, c’è un’enorme sofferenza. E questo credo che sia un bene. Fatta questa premessa, posso dire che i tanti anni di esperienza mi hanno offerto momenti di umanità straordinaria. Una cosa fondamentale, che dico sempre al mio team, è che non siamo né santi, né eroi». Il professore descrive il suo percorso professionale come un’esperienza unica. Si definisce - quasi paradossalmente - un privilegiato. «Proprio grazie all’esperienza di grande umanità vissuta. Che io posso tradurre in situazioni concrete».

A tal proposito, il medico condivide uno degli eventi che hanno segnato la sua vita, personale e professionale. «In una delle nostre vacanze al Sud, abbiamo conosciuto una famiglia del posto. Purtroppo il loro figlio 14.enne - all’epoca coetaneo del mio maggiore che oggi ha 40 anni - ha avuto una diagnosi di tumore raro per quell’età. Lo abbiamo accolto in casa nostra. Ed è morto dopo tre mesi. È stato devastante, non solo per me, ma per l’intera famiglia». Un’esperienza toccante e determinante anche nell’ambito professionale. «Prima di allora, quando mi trovavo nella stanza di ospedale di un bambino che stava morendo, mi sembrava che fosse mio dovere, da medico, trattenere le emozioni. Da quel momento, ho imparato che un dottore non perde la dignità nel condividere le sue lacrime. E non me ne vergogno».

L’importanza della ricerca

La storia professionale del professor Andrea Biondi inizia dalla porta della ricerca. Nel 1982 al Dana Farber Cancer Institute della Harvard Medical School, poi dal 1986 all’Ontario Cancer Institute, in Canada. «Quando un genitore perde un figlio, ed è successo moltissime volte, l’unico barlume di speranza per pensare a un futuro diverso dal suo è la ricerca». L’obiettivo, oltre alla guarigione in tenera età, è garantire al paziente una vita lunga e sana. «La frase più soddisfacente che mi viene rivolta dai miei ex pazienti è ‘‘professor Biondi, certo che sono un lungo-sopravvivente (chi ha avuto una diagnosi di cancro ed è ancora in vita dopo la cura primaria e non ha più in sé la malattia, ndr), ma io mi sento anche un guarito’’».

Le sfide per il futuro consistono nell’accesso alle cure e alla loro sostenibilità. «Abbiamo bisogno delle aziende, perché il progresso senza il loro investimento non avrebbe finanziamento. La ricerca richiede tempo e non c’è rientro istantaneo in termini economici, ma bisogna trovare un equilibrio. Io, a 70 anni, vado in pensione come professore di pediatria e direttore della clinica pediatrica», conclude Biondi, «ma mantengo la direzione scientifica sulla ricerca. E insieme a Franco Cavalli, a cui sono legato da un’amicizia che va avanti dal 1986, e a Francesco Ceppi mi impegnerò affinché questa storia continui, anche per gli altri bambini nel mondo. Grazie a questi sforzi, la metà dei bimbi e degli adolescenti con tumore nel Paese più povero di tutta l’America Centrale, il Nicaragua, è guarita».

La lezione

Il professor Biondi è ospite della 5. edizione della Castelgrande Lecture organizzata dall’Associazione Bellinzona Institutes of Science (Bios+). Alle 17, nella Sala Arsenale, spiegherà come il trattamento della leucemia pediatrica può guidare la comunità scientifica nel migliorare i risultati con altri tumori.