L'editoriale

Clima, i segnali politici e disperati di Guterres

Le Nazioni Unite, anche in vista della COP numero 30, hanno presentato il rapporto di sintesi sugli NDC - Ma solo una minoranza degli Stati ha presentato piani climatici aggiornati
Paolo Galli
29.10.2025 06:00

Guardare a Belém e sapere di aver tradito Parigi. Non una grande premessa, in vista della COP numero 30. Ma non è un caso se, a pochi giorni dall’inizio della prossima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, stiamo parlando degli obiettivi mancati. Anzi, si tratta di una scelta molto chiara, di una dichiarazione politica. Quando António Guterres, segretario generale dell’ONU, intervistato dal Guardian e dalla testata amazzonica Sumaúma, afferma che «l’umanità non è riuscita a limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C e deve cambiare rotta immediatamente», lancia un segnale agli Stati tutti, anche a quelli più deboli d’orecchie. Un segnale reiterato. Sì perché, di fatto, ribadisce quanto già dichiarato pochi giorni fa in occasione del congresso dell’Organizzazione meteorologica mondiale: «L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali sarà inevitabilmente superato nei prossimi anni», aveva detto.

Insomma, Guterres ha concentrato in questi ultimi interventi prima della COP tutto il proprio arsenale dialettico, aggiungendoci anche (e soprattutto) il rapporto di sintesi sugli NDC, ovvero i Contributi determinati a livello nazionale. La notizia - che notizia non è, è semmai una certificazione - è che gli obiettivi di Parigi sono stati traditi e che gli attuali piani climatici nazionali, se attuati integralmente, potrebbero portare a una riduzione delle emissioni inferiore a un terzo di quella necessaria (19-24% rispetto all’obiettivo del 60%) per evitare pericolosi cambiamenti climatici entro il 2035. Guterres, infatti, ha parlato di «fallimento dell’umanità». E guardando avanti, ha preconizzato «conseguenze devastanti», avanzando alcuni esempi e partendo, proprio, dall’Amazzonia. Ma non solo. Ha citato la Groenlandia, l’Antartide Occidentale e la barriera corallina.

Quello di Guterres appare, oggi, come un tentativo disperato di risvegliare l’attenzione generale e di riportare il discorso pubblico e politico anche sul clima. Il momento, però, al di là dei numeri e degli scenari, non è dei più positivi. La già deludente COP29 si era chiusa con le parole, fin troppo ottimistiche, di Joe Biden: «Nessuno può fermare la rivoluzione sull’energia pulita». Era il 24 novembre 2024. Passati due mesi scarsi, il 21 gennaio di quest’anno, poche ore quindi dopo il proprio insediamento, Donald Trump firmava l’ordine esecutivo per l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima. Il presidente americano parla - lo ha fatto in occasione del suo discorso fiume davanti all’Assemblea generale delle stesse Nazioni Unite lo scorso 24 settembre - del cambiamento climatico come di «una grande truffa».

E allora, in vista della COP30, c’è inevitabilmente, ancora una volta, proprio lui, Trump, sullo sfondo. È facile prevedere ulteriori pressioni, da parte sua, in vista dell’appuntamento brasiliano. Un piccolo antipasto lo si è vissuto, giorni fa, all’International Marine Organization, quando la Casa Bianca si è opposta alla tassa globale sulle emissioni navali - la cui definizione sembrava ormai a un passo -, annunciando l’intenzione di adottare misure commerciali ritorsive contro i Paesi che avessero osato sostenere l’introduzione dell’imposta. Alla fine delle discussioni, è stata accolta una risoluzione dell’Arabia Saudita per rinviare di un anno la decisione sulla piattaforma di decarbonizzazione approvata pochi mesi prima. Insomma, a spuntarla sono stati i principali produttori petroliferi del mondo, Russia compresa, allineati attorno a Trump.

Ma il tycoon non è l’unico ostacolo. Il rapporto delle Nazioni Unite sugli NDC si è basato sui piani nazionali di una sessantina di Stati, ovvero meno di un terzo dell’insieme delle nazioni del mondo. E alla lista mancano, tra le altre, Unione europea e Cina. La Svizzera, dal canto suo, ha fatto i compiti, presentando già a gennaio il proprio nuovo obiettivo climatico. E promettendo di impegnarsi «affinché tutti i Paesi, in particolare quelli responsabili di elevate emissioni di gas serra, presentino nuovi obiettivi di riduzione ambiziosi». Ma la COP30 brasiliana inizia in salita, con il fiato spezzato di chi rincorre una chimera, forte di poche certezze, aggrappata soltanto alle nuove tecnologie - quindi a future promesse - e a discontinui investimenti. E l’Amazzonia ospiterà l’appuntamento con la prospettiva, comunque, di trasformarsi - per usare le parole di Guterres - in una savana.