Aspettando la capitale che vuole ma non può

Affinché Bellinzona possa finalmente diventare una ruota (fra tante, si spera) capace di trascinare l’economia ticinese, nel senso descritto dal poeta danese Johannes Vilhelm Jensen nell’omonimo romanzo, serve almeno un decennio. Per qualche recondito motivo (sarà mica perché formata da 13 quartieri, numero associato nell’immaginario collettivo alla sfiga?), dall’aggregazione di otto anni or sono non è stata per nulla baciata dalla Dea fortuna. Come se non bastasse, dalla pandemia da coronavirus è inoltre confrontata - come buona parte dei Comuni - ad una situazione finanziaria che definire «ballerina» è un eufemismo. Conti in rosso a preventivo che, a consuntivo, si sono trasformati in cifre nere oppure, in un caso, nel 2024, il deficit si è notevolmente ridotto.
Per l’anno alle porte si prevede un disavanzo di 9,2 milioni di franchi, con moltiplicatore stabile al 93% (il più alto fra i poli cantonali), ma destinato a salire in futuro. La notizia positiva è che è migliore della stima per il 2025 che preconizza oltre 13 milioni con il segno meno davanti. Quella negativa, per contro, è che sembra oramai inarrestabile il riversamento di oneri del Cantone (che a sua volta si lamenta per lo scaricabarile della Confederazione). Meno risorse a disposizione. Margine d’azione ridotto. Dialogo non facile con il Governo. Ed il Gran Consiglio che sovente adotta decisioni che vanno a discapito degli enti locali. Infine ecco il colpo di grazia, il doppio sì alle urne del 28 settembre alle iniziative sulle casse malati e l’abolizione del valore locativo che incideranno profondamente, nel brevissimo termine, sui forzieri soprattutto delle città.
Le soluzioni, banale dirlo, sono due: o si tagliano i servizi o si aumentano le entrate. Per quanto riguarda il primo punto, Bellinzona dall’autunno 2020 sta monitorando ancora più attentamente la spesa ma, finora, il Municipio non ha voluto adottare misure che vadano ad incidere in modo pesante sul borsello degli abitanti e sul personale. Lo stesso varrà per i prossimi dodici mesi, qualche (minima) eccezione a parte. La panacea dei mali (non di tutti) della Turrita deve dunque assumere le sembianze dei progetti strategici, fondamentali per assicurare lo sviluppo socioeconomico con orizzonte il 2040 ed oltre, ma che non dipendono direttamente da lei, piuttosto da partner quali il Cantone, le FFS e l’EOC nonché dai privati. Se dunque i grandi cantieri destinati ad accrescere gli introiti fiscali si barcamenano tra difficoltà e ritardi dovuti ai ricorsi, c’è di buono che nell’ultimo lustro si sono insediate nella capitale diverse aziende. Segno che la Città, nonostante tutto, è (già) attrattiva. Come abbiamo riferito ieri, in prospettiva s’intende rafforzare l’impegno su più fronti, ma in particolare su quelli delle scienze della vita, dell’innovazione e del turismo.
Basteranno buona volontà e lungimiranza per risollevarne le sorti? Chi scrive ha la barba ma non è Nostradamus. La sensazione, dicevamo, è che Bellinzona (che ha voglia di fare ma spesso ha le mani legate) dovrà attendere ancora un decennio prima di cogliere i primi, concreti, frutti della sua crescita in senso lato. Allora, nel 2035, sarà maggiorenne. Potrà camminare sulle proprie gambe, uscendo da quella «giungla delle città» - per dirla con Bertolt Brecht - che al momento non le hanno permesso di trovare la sua vera identità. Ha bruciato i tempi per diventare grande in fretta, commettendo anche qualche errore di gioventù. Da questo momento non può più sbagliare. Il Ticino l’aspetta come fosse il signor Godot, in quanto ha bisogno come il pane di una capitale dinamica, con un’impronta viepiù imprenditoriale e che sappia osare.

