Il commento

Complicità o ignoranza? Le derive della DSC

Vengo a sapere leggendo il Nebelspalter che il Dipartimento degli esteri e più precisamente la Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione (DSC) organizza per i suoi funzionari corsi contro i pregiudizi e stereotipi razziali
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
12.04.2024 06:00

Vengo a sapere leggendo il Nebelspalter che il Dipartimento degli esteri e più precisamente la Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione (DSC) organizza per i suoi funzionari corsi contro i pregiudizi e stereotipi razziali. I partecipanti vengono invitati a individuare le proprie strategie antirazziste. In tale ambito si è sviluppato un gruppo che postula la decolonizzazione dell’aiuto e sviluppo. Si parla pure di combattere gli abusi sessuali nella collaborazione internazionale.

Verrebbe da dire ingenuamente e per chi non conosce il tema: tutto bene, quale persona ben nata non è oggi contro razzismo e abusi sessuali? Purtroppo però queste iniziative sono consciamente o inconsciamente una presa di posizione a favore di correnti di pensiero oggi diffuse, di un’ideologia che vuole dividere la società, che vuole combattere l’uomo bianco e eterosessuale che sarebbe all’origine di un mondo di sfruttatori e sfruttati.

Nel libro (pubblicato in inglese nel 2023) «Im Zeitalter der Identität», che ha avuto un notevole successo, l’autore Yascha Mounk, che insegna alla Hopkins University, ha descritto in modo approfondito e dettagliato lo scontro in atto al proposito nella società, già virulente in Nord America ma sempre più diffuso anche in Europa.

Le tesi di questo apparente antirazzismo, che in verità è una diversa forma di razzismo, vengono così riassunte dall’autore:

- Il mondo sarebbe diviso in due categorie: i bianchi e la gente di colore. I bianchi sono responsabili per tutti i mali della società, gli altri le vittime di tutte le ingiustizie.

- Il mondo è pure diviso in colonizzatori e loro vittime, i colonizzatori essendo stati e sono i bianchi.

- Il concetto di razzismo va rivisto. Non è l’espressione di convinzioni ed è praticamente impossibile e da escludere che membri di gruppi marginalizzati siano razzisti.

- Le forme dell’opposizione vanno concettualmente unite e chi si batte contro l’oppressione si batte anche per il femminismo, per la libertà sessuale, sostanzialmente contro il potere e le sue discriminazioni.

La grossolanità di queste tesi, anche se espresse abilmente dagli intellettuali che le rappresentano, consiste nella divisione della società in due rozze e manichee categorie: i buoni e i cattivi, i cattivi ovviamente essendo i bianchi, i buoni tutti gli altri. Atteggiamenti sorprendenti anche per la anti-storicità e la incolta superficialità, ma tesi che devono forse il loro successo a una ingannevole semplicità di facile diffusione.

Gli esempi di questa propaganda, che l’autore Mounck attentamente elenca, sono preoccupanti e indicano una forma di malsano separatismo e fanatismo. Da chi esige la divisione nell’educazione negli USA, allievi afroamericani separati da quelli bianchi per evitare amicizie e rapporti innaturali. Vi sono intellettuali che si oppongono alla partecipazione di bianchi alle riunioni di persone di colore perché nonostante ogni sforzo non saranno mai in grado di comprendere la situazione degli oppressi, di gente di altra razza. Vi è poi l’insistenza a dividere la società, a volere che ognuno si identifichi esclusivamente per la propria discendenza, il proprio genere, il proprio orientamento sessuale. L’autore correttamente riporta titoli e brani di testi che sostengono tali tesi.

Un accenno merita l’opera di un intellettuale di origini arabe Edward Said «Orientalism», opera di grande successo editoriale, che analizza i rapporti tra Occidente ed Oriente e vede nell’Occidente l’oppressore, nell’Oriente l’oppresso. Che queste scuole di pensiero trovino l’appoggio negli ambienti della sinistra, specie quella più estrema e orfana dopo il fallimento del comunismo, è più che comprensibile. Vi è un’identità di fini nella critica e nell’intento di rivoluzionare la società e ripetuti sono i richiami al pensiero dei Marcuse e dei Foucault. Vi è il pericoloso tentativo di reintrodurre dopo secoli la «Sippenhaft» medievale, quella responsabilità collettiva, famigliare, adottata e applicata ancora dal Nazismo.

Fortunatamente neppure tutto il mondo afroamericano condivide tale impostazione e desiderio di rivalsa per presunte responsabilità storiche. John McWorther è uno di questi e nel suo libro «Die Erwählten», è preoccupato per la primitiva divisione della società che sta mutando non per un raggiunto nuovo consenso ma purtroppo per la paura.

Che le pericolose tesi trovino terreno fertile per la loro diffusione, magari con qualche ipocrita copertura, nell’ambito dell’Amministrazione federale, che vengano diffuse con l’aiuto diretto ed indiretto di funzionari non può però che stupire e preoccupare. O ci troviamo di fronte al tentativo surrettizio di influenzare l’Amministrazione federale e la politica della Confederazione in questo campo e allora abbiamo a che fare con una pericolosa forma di complicità con tesi ed atteggiamenti che vogliono sovvertire il nostro ordinamento. Oppure abbiamo a che fare con una imperdonabile e difficilmente credibile ignoranza e superficialità non scusabili per chi ha posizioni di rilievo in questo settore. Al capo del Dipartimento in ogni caso rivolgiamo una raccomandazione con un termine del razzismo afroamericano: «be woke», che nella nostra lingua vorrebbe dire non si lasci far fesso da collaboratrici e collaboratori.