Fermi tutti, si gioca qui

Tu chiamale, se vuoi, convinzioni da retroguardia. O da boomer. La presunta alta ingegneria economica che ha messo le mani sul calcio, trasformando uno sport magnifico in business, è sul punto di scippare ai tifosi, il patrimonio più importante delle società calcistiche almeno da un punto di vista degli affetti e delle emozioni, quel che resta di questo sport. Ci stanno provando, come sempre con la tattica del salame. A piccole dosi, ma vedrete che lo faranno in maniera sistematica fino al raggiungimento dell’obiettivo, nel nome di una presunta sostenibilità e crescita dei vari campionati, ormai strangolati da necessità economiche che si dilatano a dismisura e premiano in maniera vomitevole calciatori, allenatori, manager e tutto un sottobosco di addetti ai lavori sempre più ingordi e sempre più strapagati, nella maggior parte dei casi senza una correlazione tra stipendio e qualità della prestazione.
Stanno provando ad esportare lontano le partite dei nostri campionati: Villareal-Barcellona doveva tenersi a Miami il 21 dicembre; Milan-Como potrebbe giocarsi il 7 febbraio a Perth, in Australia. Il maldestro tentativo del presidente della Liga spagnola Javier Tebas di infrangere il tabù dell’esportazione delle partite del suo campionato oltre oceano, è stato sventato grazie alle proteste dei tifosi e degli stessi calciatori, supportati dal loro sindacato. In numerose partite, per manifestare il proprio dissenso, i calciatori sono rimasti immobili per almeno 15 secondi dopo il calcio d’inizio delle partite. Per la verità, in Spagna si insinua che a mandare all’aria il progetto di Tebas sia stato il potentissimo Florentino Perez, presidente del Real Madrid e acerrimo nemico del presidente della Liga. Non proprio una verginella, insomma, considerato che era tra i promotori della Superlega europea che avrebbe dovuto scippare all’Uefa la gestione del calcio d’élite continentale… In breve: Perez voleva il suo Real Madrid al centro dell’attenzione per una prima storica. Invece c’era il Barcellona: apriti cielo. Se ad essere invitato a Miami fosse stato il Real, forse le cose sarebbero andate in altro modo.
Da Nyon, l’Uefa ha salutato con piacere la decisione della Liga di cancellare il trasloco della partita a Miami, ribadendo «la sua netta opposizione a che le partite dei campionati nazionali si disputino fuori dal paese d’origine vista la mancanza generalizzata di sostegno già espressa da tifosi, altre leghe, club, giocatori e istituzioni europee riguardo al concetto di spostare all’estero le partite dei campionati nazionali». Tutto bene allora? Nemmeno per sogno, perché questa Uefa si dimostra pusillanime, avendo da parte sua autorizzato, sebbene a titolo eccezionale, sia la richiesta della Liga, sia quella della Serie A italiana.
Torniamo al discorso dei valori: contano i soldi, il business, e allora di fronte alle cifre miliardarie del calcio non sembrano più esserci confini invalicabili. Chi lo governa, o dovrebbe farlo, è costretto a scendere a patti col diavolo, le gerarchie di comando sono facilmente influenzabili, i sottoposti hanno gioco facile a ricattare i superiori.Dalla Spagna arriva comunque una bella lezione: qualche antidoto contro le derive affaristiche il calcio ce l’ha ancora, in quei calciatori trattati come oggetti dai dirigenti, in qualche allenatore, nei tifosi che sono il patrimonio più importante delle società.Mi piacciono le parole rispettose e responsabili di Cesc Fabregas, l’allenatore del Como: «Non vado mai contro i tifosi del mio club, loro sono la parte più importante del calcio. C'è chi non dorme per andare a Lecce e usa il proprio stipendio per la trasferta. Devono avere sempre la priorità, capisco la loro arrabbiatura». Poi, vabbè, anche Fabregas è un dipendente e se c’è da fare un salto a Perth per una partita, lo farà.
