Il commento

La cultura, gli spettacoli e le vacanze scolastiche

I nostri operatori culturali, forse, dovrebbero iniziare a ripassare la legge della domanda e dell'offerta
Mauro Rossi
13.04.2024 06:00

La società umana si regge essenzialmente sulla legge della domanda e dell’offerta. Ossia su bisogni che qualcuno soddisfa dietro la corresponsione di un qualcosa, ma anche su proposte che alcuni bisogni addirittura di provocano (vedi la tecnologia prêt-à-porter che ha rivoluzionato i consumi nell’ultimo ventennio). Una dinamica applicabile a tutti i campi, nessuno escluso: da quelli prettamente economici a quelli di caratura sentimentale e spirituale. La cultura e l’intrattenimento non sfuggono a questa regola: ci sono artisti che con le loro creazioni solleticano l’interesse del pubblico che accorre a seguirli e ci sono esigenze e desideri da parte del pubblico che qualcuno si preoccupa di soddisfare. Tranne che in Ticino dove, nel mondo della cultura e degli spettacoli, la semplicissima legge della domanda e dell’offerta non funziona, sostituita da quella che potremmo definire «legge delle vacanze scolastiche» che lega l’organizzazione di ogni evento ai calendari accademici. In pratica i concerti, gli spettacoli teatrali e di ogni altro tipo vengono organizzati solo ed esclusivamente nei periodi in cui le scuole sono aperte: quando le stesse effettuano dei periodi di vacanza – piccoli o grandi poco importa – anche il mondo della musica, del teatro e dell’intrattenimento si ferma. In netta contraddizione con l’andamento delle cose. Se infatti la gente è in vacanza logicamente ha più tempo a disposizione per uscire la sera senza l’assillo della sveglia il mattino successivo; se i ragazzi non sono impegnati con le lezioni avranno maggiori opportunità di seguire ogni tipo di proposta ricreativa e culturale. Proposte che però, proprio in quei periodi, da noi latitano.

La recentissima esperienza delle vacanze pasquali ne è un esempio: dal lunedì dell’Angelo a domenica scorsa le stagioni teatrali erano in pausa, idem quelle concertistiche nonché le rassegne dedicate ai più piccoli: il tutto a detrimento della popolazione indigena che solo in minima e trascurabile parte ha l’opportunità di trasformare il periodo delle vacanze scolastiche in viaggi in località più o meno lontane, ma anche di quei turisti di cui lamentiamo un preoccupante calo dimenticando che una vivace offerta culturale e ricreativa potrebbe essere un incentivo al loro arrivo da noi in misura eguale al bel tempo. Ad ampliare la rabbia suscitata dal deserto cultural-ricreativo della settimana pasquale (tra l’altro tra le più piovose dell’ultimo periodo) ci hanno poi pensato i giorni che l’hanno preceduta e quelli che la stanno seguendo, talmente intasati di eventi da suscitare un moto di fastidio: da parte dei fruitori ritrovatisi a dover fare delle scelte spesso dolorose, ma anche degli organizzatori che, visto il ridotto bacino di utenza cui possono attingere, talvolta si ritrovano con le sale semivuote. E quanto avvenuto a Pasqua non è un caso unico: durante le passate vacanze natalizie, le sale teatro del LAC sono rimaste desolatamente chiuse dal 22 dicembre al 10 gennaio (unica eccezione il Concerto di S. Silvestro dell’OSI), alla stregua di quelle del Teatro Sociale di Bellinzona, Locarno e Chiasso. Anche qui in netto contrasto con quanto accade nel resto del mondo dove, sotto le feste, si concentrano le proposte artistiche più interessanti, vista la maggior disponibilità sia di tempo sia, grazie alle «tredicesime», di denaro da parte del pubblico. Il tutto in ossequio alla già citata legge della domanda e dell’offerta. Che forse, i nostri operatori culturali, dovrebbero iniziare a ripassare.