Il commento

Le economie tengono, il lavoro non crolla

Dopo l’impennata del 2020 legata alla pandemia, la disoccupazione in molte aree economiche è calata in modo abbastanza rapido, tornando tra il 2022 e il 2023 ai livelli del 2019 e poi scendendo anche sotto questi
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
27.04.2024 06:00

Uno degli aspetti più sottovalutati in questa fase è la sostanziale tenuta dei mercati del lavoro. Dopo l’impennata del 2020 legata alla pandemia, la disoccupazione in molte aree economiche è calata in modo abbastanza rapido, tornando tra il 2022 e il 2023 ai livelli del 2019 e poi scendendo anche sotto questi. Anche il rallentamento delle economie subentrato dopo il forte rimbalzo del 2021 non ha prodotto forti incrementi della disoccupazione, che l’anno scorso è rimasta nel complesso contenuta; le previsioni prevalenti ora indicano per quest’anno e per il prossimo aumenti non di grande taglia.

Secondo il Fondo monetario internazionale la media della disoccupazione nelle economie avanzate è stata del 4,4% nel 2023 è dovrebbe essere del 4,6% nel 2024 e del 4,7% nel 2025. Restiamo lontani dal 6,6% del 2020, questo è chiaro, ma siamo anche sotto il 4,8% del 2019, ultimo anno pre pandemico. Rimane sempre che sarebbe meglio avere una disoccupazione ancora più bassa, certo. Ma, con tutto il rispetto dovuto a chi deve affrontare difficoltà sul mercato del lavoro, occorre anche fare una valutazione complessiva ed equilibrata.

Dati e previsioni sulle singole aree economiche confermano in sostanza la tendenza indicata, a di là di parziali differenze. Alcuni esempi. Gli Stati Uniti, che avevano il 3,7% nel 2019 e l’8,1% nel 2020, erano al 3,6% nel 2023 e si accingono ora a risalire al 4% quest’anno e al 4,2% il prossimo, livelli un po’ più alti questi, sì, ma che restano ben distanti dai picchi. L’Eurozona, che era al 7,6% nel 2019 e all’8% nel 2020, è scesa sino al 6,5% del 2023 e si appresta ora a un lieve aumento al 6,6% quest’anno, per poi ridiscendere al 6,4% il prossimo. Il Regno Unito, che aveva il 3,9% nel 2019 e ha poi avuto il 4,7% nel 2020, ha registrato il 4% nel 2023 ed è previsto al 4,2% nel 2024 e al 4,1% nel 2025. La Svizzera secondo l’FMI era al 2,3% nel 2019 ed è poi salita al 3,2% nel 2020; dopo una marcata discesa, l’anno scorso ha registrato il 2% e quest’anno e il prossimo dovrebbe salire leggermente, al 2,3% e al 2,4% rispettivamente.

Bisogna sempre puntare a migliorare ancor più la situazione, ma il quadro per quel che riguarda l’occupazione nella maggior parte delle economie avanzate è lontano dall’essere catastrofico. Alcune economie hanno fardelli più consistenti per quel che riguarda la disoccupazione ma altre economie - tra queste la Svizzera - hanno un tasso di senza lavoro a un livello decisamente più contenuto. Ciò che si fa notare nel complesso è che non c’è stato quel crollo pluriennale che la parte più pessimista degli analisti e dei commentatori aveva indicato come più che probabile. 

I piani governativi anti pandemia e di sostegno delle economie hanno certo fornito un contributo e questo va riconosciuto. Ma, per quanto ragguardevoli, questi piani da soli non avrebbero potuto garantire una tenuta così prolungata, sul piano sia della crescita economica sia del mercato del lavoro. Il rallentamento economico non si è sin qui trasformato – di nuovo a dispetto delle previsioni catastrofiste – in una recessione internazionale e ciò ha rafforzato una resilienza complessiva che sta sfidando pure le tensioni geopolitiche. C’è da dire anche che una larga parte delle imprese non si è fatta prendere dal panico, ha adeguato i programmi tenendo conto dei cambiamenti ma senza cedere alla tentazione di lasciar perdere o di ridurre radicalmente le attività. La valutazione del patrimonio d’impresa, e del capitale umano, ha avuto uno spazio non piccolo. Anche l’estensione delle nuove tecnologie, che era già in corso e che con la pandemia ha avuto un ulteriore impulso, non ha avuto sin qui quell’effetto devastante che molti avevano pronosticato. È vero che alcuni mestieri vengono meno, ma è anche vero che se ne creano altri, come stiamo vedendo. Il passaggio è certo complesso, va gestito con grande impegno. Ma i dati indicano che anche per il lavoro ci sono percorsi possibili di tenuta.