Il commento

Trump esulta ma con Xi l'intesa è parziale

Dopo l’incontro di ieri in Corea del Sud tra il presidente USA Trump e il suo omologo cinese Xi Jinping, calano le tensioni tra le due superpotenze commerciali, ma si è lontani da un’intesa che riporti una stretta collaborazione tra i due Paesi
Osvaldo Migotto
31.10.2025 06:00

Dopo l’incontro di ieri in Corea del Sud tra il presidente USA Trump e il suo omologo cinese Xi Jinping, calano le tensioni tra le due superpotenze commerciali, ma si è lontani da un’intesa che riporti una stretta collaborazione tra i due Paesi. A parole le buone intenzioni non mancano; l’inquilino della Casa Bianca, parlando ai media ha definito «un amico» il presidente cinese e ha esaltato i risultati ottenuti nei colloqui. Xi, stando a quanto riferito dal quotidiano online cinese China Daily, ha affermato di essere pronto a continuare a collaborare con Trump per «costruire solide basi per le relazioni Cina-Stati Uniti (...)».

Ma le belle parole, in politica, non sempre sono seguite dai fatti. Del resto non ha contribuito a rasserenare gli animi l’annuncio fatto dal Tycoon, sul suo social media Truth poco prima del faccia a faccia con Xi, di un’imminente ripresa dei test sulle armi nucleari negli Stati Uniti. Una risposta, a suo dire, ai test portati avanti da altri Paesi. Mosca e Pechino hanno poi precisato che da anni non eseguono test atomici, ma sono pronti a riprenderli se Washington seguirà quella via. Vi è chi sostiene che il Commander in-Chief abbia confuso i recenti test russi con nuovi vettori in grado di trasportare armi nucleari, con dei test atomici.

Cosa in realtà Trump volesse dire od ottenere con questo suo annuncio a effetto resta un mistero.

Vi è chi ipotizza che il presidente USA annunciando la ripresa dei test nucleari volesse fare pressione sul suo omologo cinese poco prima dell’inizio del loro incontro. Se così fosse l’effetto dello stratagemma sembra nullo, considerato che il capo di Stato cinese ha fatto sì delle concessioni a Washington (come la ripresa delle importazioni di soia USA e una stretta sul commercio illecito dei precursori chimici per la produzione di fentanyl), ma ha ottenuto anche una considerevole riduzione dei dazi finora imposti sull’export cinese verso gli Stati Uniti. Risultato non di poco conto, considerato che per Pechino la crescita economica dipende in buona parte dalle esportazioni.

Dal canto suo Trump ha dovuto confrontarsi con i limiti della guerra dei dazi lanciata lo scorso aprile. Il deficit commerciale degli USA nei primi sei mesi dell’anno è ancora cresciuto rispetto al 2024 anche se occorre considerare che i nuovi dazi sono stati introdotti solo dopo l’annuncio del “Liberation Day” in aprile. Per ora Trump ha comunque tratto beneficio dalla tattica dei negoziati bilaterali condita con la minaccia di dazi stratosferici per chi non si fosse piegato ai suoi voleri. Il presidente USA è così riuscito ad ottenere da diversi Governi l’impegno ad investire svariati miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi anni.

L’amministrazione americana ha avuto gioco facile, in questa sua azione piratesca, soprattutto con i Paesi piccoli, come il nostro, ma anche con un gigante economico come l’UE. Vi è stato però anche chi, come Cina e Canada, ha risposto picche ai diktat di Washington, adottando contromisure, come la minaccia messa recentemente in campo da Pechino di un blocco dell’export di terre rare verso gli Stati Uniti. Minerali, le terre rare, cruciali nei settori dell’elettronica di consumo, dei trasporti, della difesa e delle energie rinnovabili, di cui la Cina domina il mercato mondiale. Come è stato detto da più parti, in Corea del Sud Cina e USA hanno siglato più una tregua che una vera intesa. Lo conferma il fatto che Pechino si è impegnata solo per un anno a non bloccare la vendita di terre rare a Washington, poi se ne riparlerà. Come dire, l’intesa è parziale e verrà rinnovata solo se nel frattempo Trump non sfodererà nuove sgradite sorprese.