Il ponte-diga

Il vento del Baltico

Nei giorni in cui a Lugano si smaltivano entusiasmi e delusioni postelettorali, tra un mugugno e un sospiro di sollievo, è passata silenziosamente in riva al Ceresio una delegazione della Repubblica di Lettonia
© CdT / Gabriele Putzu
Pietro Montorfani
Pietro Montorfani
22.04.2024 11:50

Nei giorni in cui a Lugano si smaltivano entusiasmi e delusioni postelettorali, tra un mugugno e un sospiro di sollievo, è passata silenziosamente in riva al Ceresio una delegazione della Repubblica di Lettonia. Il piccolo gruppo era composto dal Ministro della cultura Agnese Logina (giovanissima, classe 1990), dalla potente Segretaria di Stato Dace Vilsone e dall’ambasciatrice lettone presso Svizzera e Austria, Guna Japina. Scopo della visita, sulla strada per la Biennale d’arte di Venezia che si sarebbe aperta qualche giorno più tardi, era tastare il polso della Municipalità per verificare la tenuta di una relazione culturale che, dopo decenni di collaborazioni e scambi tra Riga e Lugano, negli ultimi tempi sembra essersi un po’ affievolita.

L’impressione, per chi ha potuto partecipare ad alcuni degli incontri collaterali, è che ci si trovi alla fine di un’epoca, quella durante la quale la memoria viva dei due esuli Rainis e Aspazija, vissuti a Castagnola all’inizio del XX secolo, con i suoi valori di libertà e indipendenza ancora aveva una presa sulla società lettone e, di rimando, offriva il destro al mantenimento di canali diplomatici e culturali con la nostra regione. Una stagione iniziata nel secondo dopoguerra, quando ancora Castagnola era un comune indipendente, e portata avanti con abnegazione sin dagli anni Ottanta – ben prima quindi della caduta del Muro – da Antonio Gili, colui che i lettoni chiamavano bonariamente “il nostro uomo a Lugano”; non per nulla insignito poi della medaglia dell’Ordine delle Tre Stelle, massima onorificenza conferita a degli stranieri dal piccolo Stato baltico (nella lista anche la Regina Elisabetta e George Bush Sr, François Mitterrand e Václav Havel). Dall’altra parte della cornetta, in tempi non sempre facili per gli scambi d’informazioni con il mondo d’oltrecortina, l’intellettuale lettone e statunitense Vita Matiss. A mettere in fila tutti i progetti promossi da questi due sull’arco di un quarantennio, con il concorso non sempre liscio e spontaneo delle rispettive

istituzioni, c’è da restare a bocca aperta: da un primo viaggio esplorativo in Unione Sovietica nel marzo del 1985, appena in tempo per assistere in diretta all’ascesa di Gorbaciov, alla visita di Stato della presidente Vaira Vike-Freiberga nel 2009, passando per il Forum Lugano 1990 (in cui si abbozzò l’indipendenza della Lettonia) e per una fitta serie di pubblicazioni e di eventi, in Ticino come sul Baltico. Ultimo tassello, in cui giocò un ruolo anche chi scrive, l’apertura nel 2018 del nuovo Museo Rainis e Aspazija di Castagnola, una piccola ma significativa esposizione – finanziata dai diretti interessati – che aveva raccolto il testimone da precedenti allestimenti.

Il museo, a quanto sembra di capire, potrebbe avere ancora vita breve, quantomeno nella forma attuale. La notizia non è per forza un male, perché potrebbe costringere le due parti a immaginare nuove modalità di collaborazione più adeguate ai tempi futuri. Ha senso infatti chiedersi che cosa ce ne facciamo, a Lugano nel 2024, di una figura come Rainis, se non riusciamo veramente a valorizzare nemmeno un Carlo Cattaneo. Sono cambiati i tempi, siamo cambiati noi. Quello che non è cambiato è però il bisogno di tenere vive alcune idee forti, quelle che pensatori simili, in modo diverso, hanno incarnato nel passato e mantenuto valide fino all’altro ieri. Personalmente non lascerei cadere l’occasione, anche perché continuare ad avere una finestra culturale e diplomatica aperta su un giovane Stato democratico dell’Europa del Nord, addossato ai margini dell’impero di Putin, mi pare oggi cosa più ragionevole e sensata della tanto sbandierata relazione con la Cina di Xi Jinping. Soprattutto, e non è poco, con meno implicazioni morali.