L'intervista

«Le donne fatturano, ha ragione Shakira»

L'economista Azzurra Rinaldi è una signora che vuole parlare di soldi, nonostante il titolo del suo ultimo libro
Prisca Dindo
01.10.2023 20:00

Il suo ultimo libro si intitola «Le signore non parlano di soldi». Azzurra Rinaldi sarà ospite dell’edizione 2023 di Sconfinare, il festival culturale interdisciplinare che si svolgerà a Bellinzona a partire dal prossimo 12 ottobre. Insegnante di Economia Politica presso l’Università Unitelma Sapienza di Roma, dove è anche direttrice della School of Gender Economics, Azzurra Rinaldi è un’economista femminista.

«Tremate, tremate, le streghe sono tornate», gridavano arrabbiate le femministe negli anni ’70. Oggi quale è lo slogan del femminismo 4.0?
«Diciamo che alle femministe della prima ora dobbiamo tutto. Se l’Italia, per esempio, oggi vanta una presidente del Consiglio donna, lo si deve anche a quelle attiviste che negli anni ’70 scesero nelle piazze. La loro azione di «sfondamento» fu fondamentale».

Forse erano più infuriate, non crede?
«Certo, era una militanza diversa, più arrabbiata ed è difficile dar loro torto. Oggi il femminismo può permettersi di essere più dialogante. È il femminismo dei ponti, della ricerca delle alleanze. È un femminismo che cerca di svelare agli uomini quanto questo modello economico che va a braccetto con il patriarcato non funzioni più, neppure per loro».

L’alternativa sarebbe dunque un’economia femminista. Ci può spiegare che cosa significa?
«Significa adottare una prospettiva che dal punto di vista di efficienza economica è ormai urgente e necessaria se non vogliamo condannare alla povertà le prossime generazioni».

In che senso?
«Il modello dell’economia classica con la sua prospettiva lineare ormai scricchiola. Il sistema che si basa sullo sfruttamento all’infinito delle persone e dell’ambiente non è più strategicamente sostenibile. Non solo: non è più neppure efficiente da un punto di vista economico. Di questo passo imploderà. La visione femminista dell’economia punta invece su ciò che il modello classico esclude: ossia il senso della cura e della responsabilità nei confronti degli individui e dell’ambiente. Il nostro è un sistema circolare: è sostenibile e mette al centro le persone. Del resto ci hanno sempre educato all’empatia e alla cura, fin da piccole. E se nel modello capitalistico, queste sensibilità è sempre stata vista come una debolezza, oggi si sta trasformando in una vera forza. L’empatia serve, anche in una prospettiva di efficienza economica.

Il capitalismo continua però a portare i pantaloni, soprattutto ai vertici. Lo dicono le statistiche: il 92% dei Ceo nel mondo è composto da uomini. Come uscire dunque da questo sistema?
«La verità? È difficilissimo. Pensi che in un primo momento invece di «Le signore non parlano di soldi» volevo intitolare il mio libro «Il capitalismo e il patriarcato». Dico ciò per farle capire che capitalismo e patriarcato sono due facce della stessa medaglia. Sono due sistemi di potere creati dagli uomini che si parlano e si autoalimentano all’infinito. Ma soprattutto sono sistemi che escludono».

I dati aiutano tantissimo, anche per uscire dagli stereotipi. La verità è che finché non abbiamo figli, il tasso di occupazione di noi donne è molto alto, vicinissimo a quello degli uomini

I numeri dicono che ci sono più donne laureate rispetto agli uomini. Malgrado ciò non raggiungiamo i vertici delle aziende. Forse è perché siamo meno brave?
«I dati aiutano tantissimo, anche per uscire dagli stereotipi. La verità è che finché non abbiamo figli, il tasso di occupazione di noi donne è molto alto, vicinissimo a quello degli uomini. La musica cambia quando diventiamo madri. Allora la nostra presenza nel mercato del lavoro diminuisce drasticamente. Questo modello di società prevede che, in presenza dei figli, siamo noi donne a restare a casa. Laurea o non laurea».

Finché la natura prevede che siamo noi a procreare possiamo fare ben poco, non crede?
«Il tema è proprio questo. Se ci dicessero una volta per tutte che non si devono più far figli allora saremmo a posto. La mia è una provocazione, ovvio. Però mi chiedo: come si fa a non capire che bisogna adottare dei correttivi al modello attuale? Perché i casi sono due: o accettiamo di vivere in un sistema discriminatorio in cui obblighiamo le donne a fare figli e basta - in più facendo sentire inadeguate quelle che decidono di non farli - oppure dobbiamo dire che da qualche parte bisogna intervenire».

Iniziando da dove?
«È provato che le donne escono dal mondo del lavoro per prendersi cura degli altri: accettano di non fare carriera perché hanno bisogno di tempo per badare ai figli, alla casa, al marito e a volte pure ai nonni. Per contro, la categoria di persone che ha il tasso di occupazione più alto nel mondo è quella dei padri con due figli. Sono gli uomini a portare sulle spalle l’intera responsabilità economica della famiglia. Ciò non va più bene. Se si vuole uscire da questo circolo vizioso ci vuole un ripensamento profondo della teoria economica classica scritta unicamente dai maschi. O ci condanniamo all’estinzione, oppure inseriamo pure la cura (intesa anche come attenzione, riguardo) nei nuovi modelli economici. La collettività paga per fare studiare le donne ma poi non crea le condizioni affinché possano entrare nel mondo del lavoro anche se hanno figli. È davvero assurdo».

Perché ha messo il «vil denaro» al centro del suo libro? Forse perché l’emancipazione 4.0 potrebbe passare proprio dal borsellino?
«Il fatto di tenerci lontane dal denaro è una vittoria clamorosa del patriarcato. Oggi la donna che parla di soldi è volgare, così come la donna che interviene in riunione, la donna che si autodetermina. Invece noi dovremmo parlare di soldi ogni giorno. Lo dovremmo fare con le amiche, in famiglia: non è soltanto un atto di «empowerment», ma anche un fondamentale atto di cura nei confronti di noi stesse. In un modello di produzione capitalistico, tutto passa attraverso il denaro. Perciò quando riusciamo a guadagnare e a gestire i nostri soldi siamo libere».

Allora i soldi fanno davvero la felicità?
«Il denaro è un fattore di libertà e la libertà è felicità. Vivere con la possibilità di produrre e gestire i soldi fa una differenza colossale. Pensi che oggi in Italia oltre un terzo delle donne non è titolare di un conto corrente personale, con il rischio di una sudditanza nei confronti dei loro mariti o dei compagni molto importante. È una vecchia storia di dipendenza economica e di conseguenza psicologica che ha funestato intere generazioni di donne relegandole in ruoli di sottomissione in famiglia e nella società».

Viva Shakira dunque…
«Messaggi come quelli lanciati dalla popstar colombiana tradita dal marito che invece di autocommiserarsi ribalta la situazione e canta: «Le donne non piangono più, le donne fatturano!» li trovo geniali. Lunga vita a Shakira».

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