Cultura

«Tetrallegro» ma non troppo

A colloquio con Renzo Ferrari, l'artista fumantino che voleva raccontare lo spirito del tempo
Ferrari nel suo studio.
Virgilio Genovesi
28.01.2024 10:30

Una passeggiata tra gli snodi della poetica ferrariana attraverso la voce aspra e pungente dell’artista che, all’alba degli 85 anni, ripercorre in prima persona alcune tappe fondamentali del suo itinerario creativo. Dagli esordi milanesi, appena quindicenne, fino al ritorno a Cadro già settantenne, nel segno di un nomadismo artistico che bene caratterizza l’approccio e il temperamento dell’artista ticinese. Renzo Ferrari, il pittore e i cardi - da poco pubblicato per Mimesis - restituisce il ritratto intellettuale di uno degli artisti ticinesi più taglienti, fumantini, protestatari, ma anche autentici e preparati al confronto dialettico, di sempre.

C’è una frase - nel prezioso colloquio con il giornalista Francesco Pellegrinelli, co-curatore del volume con il critico Luca Pietro Nicoletti - che rivela, con sorprendente lucidità, il modo di porsi dell’artista di fronte agli accadimenti del mondo e, in definitiva, di intendere la pittura nella sua relazione con il presente e la tradizione: «Non dovrei dirlo ad alta voce - osserva l’artista - ma ho la convinzione che la pittura possa raccontare qualcosa del nostro tempo». E ancora: «L’uomo è una stratificazione di storia collettiva e personale che il linguaggio-pittura può ambire a raccontare».

È in questo atteggiamento che si coglie l’urgenza intellettuale di un artista che, sull’arco di oltre sessant’anni, ha fatto della pittura uno strumento di indagine. «Ferrari - scrive Nicoletti - ha scelto la pittura come strumento per evidenziare la soglia di allarme posta di fronte alle minacce che incombono sul tempo presente».

I compagni di strada

Un atteggiamento che diventa condizione personale e generazionale. Il libro, non a caso, si completa con una serie di testimonianze inedite di artisti e intellettuali compagni di strada di Ferrari: Mario Botta, Ruggero Savinio, Flaminio Gualdoni, Alberto Nessi e Bruno Soldini. «Quella che ci unisce è la Passeggiata che amiamo entrambi, anche quando si rinuncia alla direzione e al movimento», scrive Savinio nella sua intima lettera all’artista ticinese. Il movimento, semmai, è quello della mano che imprime sulla carta il segno del presente, «in questa unica vita che ci è concessa vivere», sembra rispondere Ferrari nell’introduzione all’ultima parte del volume, dedicata alla Collezione Ivano Fontana, l’amico scomparso nel 2021.

La pittura, dunque, come tentativo di cogliere lo spirito del tempo. Un’ambizione profonda che colloca l’intenzione artistica in una precisa tradizione pittorica e letteraria. Sì, perché l’universo artistico di Ferrari si costruisce nel segno di un approccio trasversale che va oltre l’esclusivo confronto con i grandi della pittura: i suoi amati Bosch, Bruegel, Caravaggio, Sutherland, Schiele e Cézanne.

Degno di nota, nel volume, è lo scambio di vedute sullo scrittore svizzero Robert Walser, autore (guarda caso) del racconto La Passeggiata. «Il raffronto con Walser viene suggerito dal critico Roberto Tassi», ricorda Ferrari. «L’elemento linguistico che ci accomuna, dice Tassi, è la trascuratezza, intendendo, nel caso di Walser, la frammentazione del testo narrativo, nel mio caso, gli elementi che galleggiano sulla superficie del quadro e che danno il senso del tutto».

L’universo letterario

Accanto a Walser, poi, nella conversazione troviamo il Dürrenmatt dalle atmosfere cupe e inquietanti, lo scrittore che mette a nudo i limiti morali della società; ma anche gli americani Henry Miller e Raymond Carver, autore, quest’ultimo, di Short Stories (racconti brevi), termine con cui lo stesso Ferrari identifica un gruppo di lavori andato in mostra allo Spazio Tadini a Milano; la sua Milano, dove ancora giovane, attorno alla metà degli anni ’70, ottiene i primi importantissimi riconoscimenti da figure di spicco quali Gianfranco Bruno e lo stesso Roberto Tassi.

Più in generale, il volume, nella sua parte dialogica, è corredato da un ricco apparato di citazioni critiche che offrono al lettore un compendio minimo di quanto scritto su Ferrari e, nel contempo, forniscono uno spazio di confronto. «A differenza di suoi coetanei, Ferrari non ha mai fatto suo il precetto matissiano secondo cui gli artisti dovrebbero tagliarsi la lingua, frenando tentazioni narrative e auto-esplicative», scrive ancora Nicoletti.

A giusto titolo, quindi, la conversazione con Pellegrinelli diventa uno strumento efficace e privilegiato per conoscere i temi e i percorsi prediletti dall’artista: le Nature difficili, i Disaster, i Gaio, gli Urbani, i Walkers, le Stilleben, i World Diary o, ancora, le Mimesis e i Coatti. Una nomenclatura (umorale) di temi che tuttavia mantengono il loro epicentro nella figura umana. «Se manca, faccio fatica. Sento venire meno il coinvolgimento personale e intellettuale», dichiara l’artista in un passo decisivo.

L’urgenza delle pitture rupestri

Alla fine, dunque, chi è Ferrari? Un grande critico italiano, qualche anno fa, lo indicò quale protagonista autorevole del dibattito neo-espressionista europeo, capace quindi di scartare, per autenticità di vocazione e grazie a un personalissimo impianto di linguaggio graffittista, il rischio di una caratterizzazione locale. Un riconoscimento che attende ancora il suo momento e che il libro tenta di mettere in luce. Chi è dunque Ferrari? Sicuramente un artista che, sin dalle tumultuose fasi della sperimentazione più vivace in Accademia, ha deciso di rimanere fedele alla pittura.

«Hai in mente le pitture rupestri? Ecco, è quell’urgenza a cui miro, consapevole che per millenni la pittura è stata il mezzo più semplice per registrare la nostra condizione».

In questo articolo: