L'analisi

Ma quanto vale la nostra Barbie?

Il film con protagonista Margot Robbie ha rilanciato il collezionismo riguardante la bambola più famosa del mondo: un cestone pieno di Barbie, anche anni Settanta o Ottanta, trovato in soffitta potrebbe rivelarsi un piccolo tesoro
© LUIS GANDARILLAS
Stefano Olivari
22.07.2023 17:00

Barbie è un capolavoro o un’operazione di marketing mal riuscita? Il film con protagonista Margot Robbie, da poco uscito nei cinema, sta dividendo pubblico e critica in due partiti con poche sfumature. L’unica certezza è che la Barbie-mania, genuina o indotta che sia, sta rilanciando le quotazioni sia delle bambole (ma nessuna bambina ha mai definito bambola la Barbie) nate per essere da collezione sia di quelle per così dire normali, quelle che negli ultimi 60 anni tutte hanno avuto e tutti hanno regalato. Quanto vale quindi la vostra Barbie?

Collezioniste

La Mattel, cioè l’azienda che dal 1959 produce la Barbie, anzi le Barbie, ritiene che nel mondo ci siano poco più di 100mila collezionisti veri di Barbie. Anche in questo campo l’effetto nostalgia è vincente: i collezionisti sono in realtà quasi tutti collezioniste, il 90% con un’età oltre i 40 anni. E si dividono in due tipi: quelli, ma possiamo anche dire direttamente quelle, che acquistano le Barbie da collezione che dal 2004 la Mattel, annusato l’affare, produce in serie limitate, e quelle che acquistano Barbie di seconda mano, sperando che si rivalutino o anche solo perché l’acquisto scalda il cuore. Fra le Barbie nate per essere da collezione il top sono le Platinum Label, cioè quelle prodotte in meno di mille esemplari, le Gold, fino a 25 mila pezzi, e le Silver, fino a 50 mila. In linea di massima si può dire che una Barbie American Girl dei primi anni Sessanta in condizioni perfette possa valere anche 10 mila euro, mentre una Barbie molto comune di oggi, come la Barbie Magia delle Feste, si rivaluta meno ma sempre in maniera importante: la trentina di euro del modello 2022 nuovo si può confrontare con i 200 a cui è quotato il modello 2014.

Superstar

Trovare in soffitta uno scatolone pieno di Barbie anni Sessanta o Settanta equivale a trovare un tesoro e per averne la certezza basta controllare alcuni particolari, primo fra tutti il numero di serie che nei modelli più antichi era scritto sul collo. Poi le logiche sono quelle di qualsiasi tipo di collezione: il valore è massimo con la scatola chiusa, anzi mai aperta, ma in mancanza di questo la Barbie deve comunque essere perfetta, senza segni e senza i classici capelli rovinati. Il problema del collezionismo di Barbie è evidente: ce ne sono in giro troppe, essendone state vendute più di un miliardo, e quindi la maggior parte dei modelli e degli accessori vale poche decine di euro, anche se ben tenuti. Ma ci sono tanti casi in cui la produzione limitata, per i motivi più diversi (a volte la scarsa fiducia in quel modello o accessorio) ha creato un boom delle quotazioni: l’ufficio di Barbie del 1984 si vende anche a 1.500 euro, la coppia Barbie e Ken in versione Superstar del 1977 a 1.300, la Barbie Superstar singola del 1976 a 800, la Barbie Segreti di Bellezza modello Christie del 1979 a 600, ma non bisogna buttare via nemmeno la comunissima Barbie Rio che i suoi 100 euro li porta a casa. Non entriamo nel discorso delle serie limitate, dove il prezzo è sostenuto dalla scarsità programmata: la Barbie Regina Elisabetta, per citare un modello molto conosciuto anche se poco venduto (del resto era Platinum Label), vale oggi 1.000 euro. Prima di buttare via o regalare le Barbie facciamo quindi una visita a uno dei tanti siti specializzati in valutazioni (vintagebabs.com fra i più conosciuti) o più concretamente digitiamo nome e anno di produzione nella maschera di ricerca di eBay.

Inclusività

Il valore delle Barbie di una volta, qualsiasi cosa voglia dire una volta, è dato dal numero relativamente limitato di modelli, mentre nel 2023 è venduta in 22 gradazioni della pelle e 76 acconciature diverse, con 94 colori di capelli e 13 di occhi: ognuno può avere la combinazione che desidera. Ma soprattutto, pensando a ciò che rappresenta Barbie, con tipi di fisico diverso. Nemmeno oggi la Barbie grassa (eufemisticamente definita curvy) ha un grande successo, ma è chiaro il motivo per cui la Mattel si piega a queste logiche: meglio perdere soldi su qualche linea di produzione che essere accusati di scarsa inclusività. O anche, altra accusa, di eccessiva sessualizzazione della Barbie, motivo per cui in certi Paesi non funziona. Certo la creatura di Ruth Handler è sempre stata pensata per il marketing, non è che prima ci fosse una Barbie pura e oggi una Barbie asservita alle leggi del marketing. Poi con il film di Greta Gerwig è esploso l’abbinamento della Barbie a marchi globali come Zara e Microsoft (per via della Xbox) e ad altri tarati sui mercati locali, in un circuito che si autoalimenta: quando il miglior piazzista del prodotto diventa il cliente significa che il futuro è rosa, viene da dire rosa Barbie.

Vincenti

Fin da subito Barbie è stata quella che oggi si definirebbe role model, e infatti esiste la linea Barbie Role Model. La prima bambola con cui le bambine hanno sognato di essere donne indipendenti e non madri di un neonato ha sempre cercato l’identificazione con persone di successo. Per questo gli abbinamenti VIP hanno sempre avuto un grande riscontro sia collezionistico sia mediatico: da Jennifer Lopez a Naomi Osaka, da Frida Kahlo a Beyoncé, da Marylin Monroe a tante altre. Per il mercato italiano si ricordano fra le altre la Barbie Elisa, intesa come la cantante, quella ispirata all’astronauta Samantha Cristoforetti, quelle con le fattezze della stilista Alberta Ferretti, della calciatrice Sara Gama, della chef stellata Rosanna Marziale, della schermitrice paralimpica Bebe Vio, dell’imprenditrice-influencer Cristina Fogazzi, senza contare altre donne magari sconosciute in senso pop ma vincenti nella vita. Anche se l’essenza di Barbie, diciamo pure della vera Barbie (quella con i capelli lunghi biondi, magra, con l’auto cabrio e mille vestiti), è quella di vivere la propria vita senza curarsi del giudizio degli altri.