Formula uno

Come lui non c’è più stato nessuno: il mito di Ayrton Senna è sempre vivo

Il 1. maggio di 30 anni fa il pilota brasiliano morì al volante della sua Williams nel corso di un maledetto Gran Premio di San Marino - La memoria di ciò che ha fatto e ha rappresentato è ancora attuale
Ayrton Senna al GP del Pacifico, quindici giorni prima della sua morte al GP di San Marino a Imola. ©Keystone/Hideyuki Yamamoto
Pino Allievi
Pino Allievi
30.04.2024 06:00

Trent’anni non sono pochi, eppure i trent’anni dalla morte di Senna sono volati via come il vento, lasciandoci dentro i nitidi ricordi di ieri traslati in un oggi che riporta a una realtà cinematografica che piacerebbe a Guadagnino e ai suoi film creati su attimi sospesi. Ayrton Senna moriva il primo maggio del 1994 e tutti coloro che erano ragazzi o adulti ricordano perfettamente l’attimo in cui vennero raggiunti dalla notizia della tragedia. Già questa è una magia. Ma la cosa che maggiormente stupisce è che la memoria di ciò che Senna ha fatto e rappresentato, sia così viva e attuale, in un mondo in cui le morti, le sciagure e anche i momenti belli si cancellano in un istante, come i messaggi di un telefonino.

Una forza misteriosa

Il perché di questo inusuale fenomeno sta in ciò che Ayrton ha trasmesso, e cioè una serie di messaggi che sono entrati nella mente di chi non era necessariamente un appassionato di corse d’auto ma guardava i gran premi distrattamente, soffermandosi però sulle parole dei protagonisti, ovvero di quel ragazzo brasiliano dai lineamenti gentili e dal lessico forbito che raccontava – come nessuno aveva mai fatto prima e nessuno ha poi azzardato dopo – le sensazioni che provava nei duelli con gli avversari, di ciò che cuore e mente gli suggerivano mentre effettuava un sorpasso, dei contorni psicologici della rivalità con gli avversari, di quella forza misteriosa che gli arrivava dal profondo e che lui, senza reticenze, attribuiva a Dio. Un Dio tutto suo che nel racconto lasciava spesso perplessi chi lo ascoltava, ma che comunque dava una connotazione religiosa – sempre molto personale, s’intende – a tutto ciò che riguardava l’universo del campione. Messaggi legati allo sport e alla Formula 1 che inducevano a pensare, a rimettersi in gioco anche se nella vita si stava poi seduti al tavolo di un anonimo ufficio statale o di una compagnia di assicurazioni.

Angelo e demone

La filosofia di Senna avvolgeva ogni settore della vita di tutti noi. C’era chi lo ascoltava e restava incuriosito, c’era chi ne traeva insegnamenti da mettere in atto subito. Un vero guru, un profeta per quella parte enorme di Brasile che viveva (e vive) nelle favelas sapendo che non potrà mai concretizzare certi sogni né realizzarsi in una società comunque ostile. Senna, che proveniva da una famiglia molto abbiente, coi suoi discorsi articolati apriva invece alla speranza e a una società migliore, nella quale bisognava attivarsi per cancellare le diseguaglianze. Ed ecco le sue attività in soccorso a chi non aveva – e non avrebbe mai avuto – una possibilità da giocarsi, con elargizioni controllate da lui stesso in un panorama in cui entrava una visione globale di un mondo migliore, più pulito, più giusto.

Un angelo? «No, angelo e demonio, dottor Jekyll e Mr. Hyde», lo definì compiutamente Lionel Froissart, scrittore e giornalista francese di Libération. Nel senso che Senna era sicuramente un angelo quando si toglieva il casco, ma sinchè lo indossava era un demonio scatenato che non accettava la sconfitta e, ritenendosi illuminato da Dio, buttava fuori pista senza complimenti chiunque lo ostacolava: «Io non corro per arrivare secondo o terzo: non m’interessa, mi umilia. Io corro esclusivamente per vincere», diceva senza nascondersi. Da qui i battibecchi in pista con tutti coloro che hanno cercato di frenarne la furia agonistica: da Mansell, a Prost, a Schumacher, per citare i più noti. Ma va poi detto che Ayrton aveva qualità straordinarie di guida che non si sono più viste. Cominciando dall’abilità sotto la pioggia sancita da tre tappe fondamentali: il GP di Monaco del 1984 nel diluvio, quando avrebbe vinto la gara con la modesta Toleman se non ci fosse stata l’interruzione; il GP del Portogallo del 1985 quando, con la Lotus, diede un giro a tutti; il GP d’Europa a Donington del 1993, un capolavoro di acrobazia sull’acqua, una lezione di guida ai rivali, da Prost, a Schumacher, a Damon Hill. Paradossalmente, i tre titoli mondiali conquistati sono un’aggiunta non indispensabile nella dimensione della sua bravura. È vero che un giorno avrebbe guidato la Ferrari? Senna lo faceva pensare ma non credo l’avrebbe mai fatto, in quel momento. Diabolico nel gestire (anche) la comunicazione, sacrale nel modo in cui interpretava la professione, inarrivabile per l’eco che creavano le sue parole. Unico. Irripetibile.