I fattacci minimizzati di Colonia

Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
12.01.2016 06:00

di FERRUCCIO DE BORTOLI - Sull'ampiezza e la gravità dei fatti di Colonia indaga un'imbarazzata polizia tedesca, messa peraltro sotto accusa da un Governo sorpreso e preoccupato. I mezzi d'informazione devono spiegare, a loro volta, il perché di un ritardo inaccettabile nel fornire notizie adeguate. Conosceremo, nei prossimi giorni, maggiori particolari sulle aggressioni e le molestie subite da centinaia di donne e saranno più chiare le responsabilità. Ma una cosa è certa. Quello che è avvenuto a Capodanno è stato un episodio grave ed emblematico di quanto i diritti femminili, e non solo, siano negati e calpestati nella cultura islamica, specie in una fase storica in cui la disgregazione degli Stati fa riemergere violente tradizioni tribali. Inutile girarci intorno. O trovare delle giustificazioni. O parlar d'altro.Nell'ansia, a volte lodevole, di non scatenare fenomeni d'intolleranza e xenofobia, di non far pagare a migliaia d'immigrati le colpe di pochi delinquenti – che ogni comunità ha – si minimizzano i fatti, si cercano giustificazioni e attenuanti. Colpa della società, delle ferite postcoloniali. Si discute, inutilmente, sulla perdurante «prevalenza del maschio» e sull'ancora lontana parità di genere nelle società occidentali. Il filosofo tedesco Markus Gabriel sostiene che si è trattato soltanto di un crimine a sfondo sessuale commesso da nordafricani e rifugiati. La cultura non c'entra. La femminista Alice Schwarzer afferma che le molestie non sono altro che «il prodotto di un'integrazione fallita». Dopo i fatti di Colonia, appare anacronistica l'iniziativa di indire un World Hijab Day, la giornata mondiale per il diritto della donna di portare il velo.

L'ossessione del politicamente corretto arretra la linea di difesa dei diritti civili e politici. Nell'infausto Capodanno di Colonia, formalmente «pacifico e ordinato» secondo la polizia, i diritti delle donne sono apparsi meno meritevoli di essere tutelati di quelli degli immigrati. La realtà purtroppo è questa. E ha ragione la filosofa francese Elisabeth Badinter quando scrive che bisogna difendere la laicità anche a costo di correre il rischio di essere trattati da islamofobi. «Le Monde» ha pubblicato nei giorni scorsi uno studio di due ricercatori, Béatrice Mabilon-Bonfils e François Durpaire, sui manuali scolastici francesi, nei quali l'Islam sarebbe troppe volte associato alla violenza e al terrorismo. E questo, secondo gli autori, alimenterebbe pregiudizi e fobie. Dunque, cancelliamo i fatti dai manuali scolastici come viene cancellato, per esempio, Israele da quelli di molti Paesi arabi? Quello studio è solo uno dei tanti esempi di dove possa portare il culto pervicace della correttezza a tutti i costi. Anche a negare gli stessi valori sui quali si fonda la nostra società, i diritti di libertà, politici, di genere. Non può sfuggirci, anche se è antipatico dirlo, che per il Corano la donna ha un'identità giuridica che vale la metà di quella dell'uomo. Ne sanno qualcosa le donne yazide, schiave sessuali dei combattenti dell'ISIS. Un sondaggio realizzato nel 2013 dal Pew Reasearch Center, riferiva Danilo Taino sul «Corriere della Sera», rivela che in 20 Paesi su 23 di religione islamica, la maggioranza degli intervistati si è detta d'accordo sul fatto che la moglie obbedisca al marito.

Il processo di secolarizzazione e di apertura alla laicità è lento e contrastato anche nelle comunità musulmane già perfettamente integrate (e con larghi meriti) nei Paesi occidentali. La paura di infrangere le regole e pagarne le conseguenze alimenta un'omertà inaccettabile. Non è un caso che in Germania non vi sia stata alcuna importante presa di posizione delle comunità musulmane locali. Silenzio. Ci vengono in mente solo episodi isolati, testimonianze coraggiose che meriterebbero solidarietà e sostegno maggiori. Amina Wadud, che nel marzo del 2005 negli Stati Uniti guidò, richiamandosi peraltro al Corano, una preghiera in una moschea di New York e per questa ragione fu raggiunta da una fatwa mortale. Khalida Messaoudi, algerina, autrice del libro Una donna in piedi (Mondadori, 2006), condannata a morte nel '93 dal fronte islamico di salvezza. Ayaan Hirsi Ali, somala naturalizzata olandese, autrice della sceneggiatura di Submission per la regia di Theo van Gogh, assassinato il 2 novembre del 2004. Una vita sotto scorta, costretta a cambiare nome e poi spinta a emigrare negli Stati Uniti, anche per via di una sentenza che dava ragione ai suoi vicini di casa, preoccupati per la loro sicurezza.

Ogni volta che arretriamo nella linea difensiva dei diritti della nostra civiltà, magari per favorire una maggiore integrazione, dobbiamo ricordarci di queste donne coraggiose e delle molte altre che in silenzio si battono per i loro diritti, molestate e violentate ogni giorno com'è accaduto nella vergognosa notte di Colonia. E difenderle. Senza se e senza ma.