Premesse di guerra civile

Afghanistan: vigilia elettorale sempre più violenta
Gerardo Morina
Gerardo Morina
19.08.2009 05:01

di GERARDO MORINA - Le elezioni afghane di domani nascono sotto cattivi auspici: l?offensiva terroristica dei Talebani si fa di giorno in giorno più aspra, l?incognita della violenza costellerà fino all?ultimo il percorso verso le urne, la vera battaglia annunciata è contro il caos, mentre lo spettro della guerra civile rischia di insediarsi nel Paese anche a voto avvenuto. È questo l?obiettivo dei Talebani del mullah Omar mirante soprattutto a far fallire il voto dell?etnia «pashtun», concentrata nel sud e nell?est del Paese. È la stessa etnia a cui ufficialmente appartiene il presidente uscente Hamid Karzai, descritto però dai detrattori come un «Panshiri-zai», la tribù dei Panshiri, ovvero i tagichi dela valle del Panshir che sono gli avversari più diffidenti dei pashtun. Per gli stessi detrattori, Karzai appare come un venduto, un uomo che per questo non gode più dell?appoggio della sua etnia, la stessa che nel 2005 lo portò alla presidenza. Tanto è vero che Karzai ha recentemente chiamato a sé il generale uzbeco Dostum, ex-massacratore di pashtun, una mossa che probabilmente gli farà guadagnare voti a nord. Ma i seguaci del mullah Omar mirano a far sì che il potere politico dei pashtun a Kabul risulti menomato. Per questo gli elettori vengono minacciati di morte. Meno riscontri avrà il voto pashtun, più crescerà il risentimento di questa etnia contro i gruppi rivali. Un ottimo terreno per rafforzare così la guerriglia talebana, un?ottima occasione,anche, per fare apparire la violenza come la soluzione migliore per riprendersi il potere caduto nelle mani degli avversari. Tutto, quindi , in questo Paese appare ancora una volta regolato dalle rivalità tribali, con la prospettiva auspicata dal mullah Omar di vedere l?Afghanistan nuovamente spaccato in due, indomito e ingovernabile come successe con la guerra civile che fece seguito al ritiro dei sovietici dall?Afghanistan nel 1989.L?Afghanistan si rivelerebbe così un ennesimo scacco per la potenza straniera, in questo caso gli Stati Uniti, interessata a mettere ordine in un Paese congenitamente ribelle. È la teoria della «tomba degli imperi», ispirata al titolo omonimo del saggio di Seth Jones, analista della Rand Corporation, uscito negli ultimi mesi negli Stati Uniti e pubblicato dalla casa editrice Norton. L?Afghanistan, sostiene l?autore, ha rappresentato nella sua storia una pesante sconfitta per molti imperi:da quello di Alessandro Magno,a quello britannico, a quello sovietico. E lo stesso potrebbe capitare all?impero americano ereditato da Barack Obama. Obama come Lyndon Johnson, insomma. L?incubo Afghanistan come l?incubo Vietnam. Senonché, il piano di Obama per l?Afghanistan poggia su premesse diverse e più concrete. L?interesse nazionale degli Stati Uniti, ha spiegato il presidente, non è tanto di esportare una democrazia a Kabul quanto di colpire Al Qaida e i suoi alleati tra i Talebani, una minaccia costante per il popolo americano. Un grande dispiegamento militare con il duplice obiettivo di far sì che le forze afghane si occupino della sicurezza interna e gli Stati Uniti concentrino ogni sforzo nel combattere le gerachie terroriste. Per raggiungere tale obiettivo occorrerà per Washington abbinare all?aumento temporaneo delle forze militari accordi politici per la pacificazione interna. È la linea adottata da Karzai per queste elezioni,basata sull?apertura di un suo futuro governo ai Taleban disposti a collaborare, abbandonando la violenza. Ed è l?unica strategia vincente suggerita dagli analisti politici Fotini Christia e Michael Semple sull?ultimo numero del periodico «Foreign Affairs». L?Iraq insegna. Un «surge» militare non basta, dicono Christia e Semple, occorre anche un «surge» politico basato sulla riconciliazione,un processo che, sostengono, in Afghanitan può anche essere appositamente indotto. In che modo? Facendo leva sulle facili defezioni e cambiamenti di campo di cui è piena la storia tribale afghana. Separando, come il grano dal loglio, i Talebani «buoni» da quelli «cattivi», recuperandoli alla causa di una riconciliazione nazionale a abbandonando a se stessi tutti coloro che non sanno spezzare i propri legami con Al Qaida. Agendo in particolare sul senso di patriottismo dei Talebani «buoni», inclini ad aderire alle cause giuste dell?Islam e ad allinearsi con il governo centrale (qualunque risulterà eletto) per coneguire il fine dell?indipendenza del Paese. Tutto ciò presuppone naturalmente prima la creazione e poi la delega di una sicurezza da affidare unicamente alle forze afghane. Usando, suggeriscono i due analisti , il modello dell?esperienza britannica in Nord Irlanda. Solo, infatti, inducendo negli insorti la consapevolezza della necessità di una riconciliazione nonché di una reciproca cooperazione nella sicurezza si creeranno i mezzi per mandare a casa le truppe considerate estranee. Sempre che – e potrebbe succedere – Kabul non si confermi come caso anomalo e refrattario ad ogni soluzione. Sarebbe davvero un?altra tomba per un altro impero.