Stato, Chiesa, pluralismo di valori

Nuova polemica in Italia sulla religione a scuola
Piero Ostellino
18.08.2009 05:00

di PIERO OSTELLINO - Ha fatto scandalo – tra molti non credenti italiani di cultura illuminista democratico-razionalista francese (radicali, sinistra in generale, qualche anticlericale tardo risorgimentale) – l?accusa di «bieco illuminismo» lanciata dalle gerarchie ecclesiastiche contro la sentenza, neopositivista, del Tar del Lazio che ha escluso dagli scrutini scolastici gli insegnanti (sacerdoti) di religione. La sentenza si è palesemente basata sulla convinzione – tipicamente illuministica e razionalistica – dell?irrilevanza, se non dell?insensatezza, della fede religiosa. La reazione delle gerarchie ecclesiastiche si è basata sulla convinzione opposta e sull?interpretazione del Concordato fra Chiesa e Stato. A ben vedere, però, «ha fatto scandalo» anche «lo scandalo» dei non credenti di matrice illuminista democratico-razionalista francese. Agli occhi del liberale non credente, anch?egli di cultura illuminista, ma anglosassone, i nostri valori non si fondano sulla Ragione e sulla Scienza, ma sono scelte della nostra coscienza, in quanto non può esserci una base razionale a tutte le nostre convinzioni etiche e persino politiche. Si sono scontrate, infatti, nella circostanza, due idee, parimenti dogmatiche, sulle quali uno spirito laico ha qualcosa da dire: hanno sottovalutato entrambe il «pluralismo di valori» di una società aperta. La prima idea – quella delle gerarchie ecclesiastiche – ha a proprio fondamento il giusnaturalismo per il quale i diritti soggettivi degli uomini hanno origine nel Diritto naturale come manifestazione della volontà e della creazione divina. E, fin qui, ci sarebbe poco da dire, trattandosi – la Fede – di «questione di coscienza». Il suo limite sta, però, nel fatto che essa attribuisce al Diritto naturale il valore di verità universale non come portato della religione (del primo cristianesimo) – sul ruolo «storicamente» liberatorio della quale il liberale non credente non ha nulla da eccepire, «anche se Dio non ci fosse» – ma come interpretazione costrittiva che «socialmente» ne ha dato, e ancora ne dà, la Chiesa cattolica come istituzione (contro divorzio, contraccezione, procreazione assistita, eccetera), «come se Dio ci fosse». La differenza fra la posizione del liberale non credente – ma consapevole dell?importanza che la religione ha avuto nella storia «sulla sacralità, centralità e intangibilità» della Persona umana, che la cultura liberale definisce col termine di Individuo, ma al quale attribuisce la stessa sacralità, centralità e intangibilità – e quella delle gerarchie ecclesiastiche è che la posizione del liberale è politica e sociale, mentre quella delle gerarchie è religiosa e teologica; quella del liberale è tendenzialmente protestante, quella delle gerarchie è profondamente cattolica.    La seconda idea – quella dei non credenti di cultura illuminista democratico-razionalista francese – è che i diritti fondamentali dell?uomo abbiano a fondamento il «principio di cittadinanza». Il suo limite sta nella «ideologia dello Stato laico». Che – ha scritto Arturo Carlo Jemolo, un grande cattolico-liberale – riposa sull?«idea di uno Stato come di una grande associazione di uomini aventi una morale comune e interessi comuni, non le medesime idee su ogni cosa, specie su cose riguardanti la religione. Ma il giorno in cui tali condizioni venissero a mancare tutta la costruzione crollerebbe». La differenza fra la posizione del liberale non credente e quella dei non credenti di cultura illuminista democratico liberale è che il liberale ritiene che i diritti fondamentali siano il frutto della «natura», dell?umanità, degli uomini in quanto tali, indipendentemente dall?appartenenza a una comunità piuttosto che a un?altra, mentre quella dei non credenti di cultura illuminista democratico-razionalista tende ad attribuirli agli uomini in quanto appartenenti a una data comunità, caratterizzata dalla comune consapevolezza dell?irrilevanza, se non dell?insensatezza, della religione, in base al «principio di cittadinanza».  Che la sentenza del Tar sia stata, dunque, «illuminista», del genere francese (e giacobino) non ci piove. Hanno avuto ragione le gerarchie ecclesiastiche a dirlo – a parte l?aggettivo «bieco», effettivamente spropositato e soprattutto antistorico – e torto i non credenti laicisti a negarlo, accusandole di tradizionale anti-illuminismo, di chiusura della Chiesa dopo l?Unità d?Italia contro lo Stato liberale (il non expedit contro la partecipazione dei cattolici alla vita politica dello Stato unitario). Ha scritto Norberto Bobbio: «Non è sufficiente dire: la religione c?è, ma non dovrebbe esserci. C?è: perché c?è ? Perché la scienza dà risposte parziali e la filosofia pone domande senza dare risposte». Che gli uomini avvertano l?esigenza di un sentimento religioso, incarnato dalle molte sette religiose presenti nel Paese, e che su tale sentimento si fondino gli Stati Uniti, lo Stato che, per eccellenza e più di ogni altro, tiene separati lo Stato dalla Chiesa, pur riconoscendo alla politica un fondamento religioso, è un fatto incontrovertibile, che già Alexis de Tocqueville aveva registrato nel suo «La democrazia in America» del 1835, e che sarebbe stupido oggi negare.   Hanno avuto ragione i non credenti laicisti, e torto le gerarchie ecclesiastiche a negarle, a criticare le interpretazioni della religione che ne dà la Chiesa sul piano sociale. Che la pretesa della Chiesa cattolica di farsi interprete della «parola di Dio» e di considerare sé stessa e le proprie gerarchie non solo come il necessario «intermediario» fra Dio e la comunità dei credenti, ma anche fra lo Stato e i cittadini, è un altro fatto incontrovertibile che finisce col creare non poche frizioni e lacerazioni all?interno di una società «aperta» dove coesiste una «pluralità di valori» spesso incommensurabili e ugualmente non negoziabili. Ciò che non sembrano capire le gerarchie ecclesiastiche è che la formula cavourriana «libero Stato in libera Chiesa» è, soprattutto, una forma di tutela dell?indipendenza della Chiesa di fronte ai processi di secolarizzazione delle società contemporanee che hanno nei non credenti di cultura democratico-razionalistica i loro pericolosi alfieri proprio contro la stessa Chiesa e persino la religione. L?amara, e ultima, constatazione, è che dispute come quella nata dopo la sentenza del Tar del Lazio sono state frequenti in Italia, e rischiano di protrarsi in futuro, a causa delle ambiguità del Concordato. Che, per quanto riguardava le polemiche di questi giorni, consente, laicamente, ai ragazzi di chiedere l?esenzione dall?insegnamento di religione; e attribuisce, clericalmente, agli insegnanti di religione (sacerdoti di nomina ecclesiastica) di giudicarli ugualmente. Il Tar ha solo scoperchiato il Vaso di Pandora.