Ben Lerner è un quarantenne scrittore americano, autore di alcuni romanzi di buon successo, che nella sua ultima opera, Topeka School, si è cimentato con uno degli aspetti più in vista ma anche più sfuggenti dell’America di oggi: la competizione attraverso il discorso, le parole. L’America di oggi è sotto gli occhi di tutti: notizie e contronotizie, accuse e controaccuse, potere e contropotere, al punto che ci si potrebbe legittimamente chiedere se la politica – ma non solo – americana si sia di nuovo ispirata ai dettami della retorica pura e semplice. Insomma, come ben sapevano gli antichi Romani, chi parla meglio e con più convinzione, vince. Il romanzo Topeka School è da questo punto di vista profetico essendo ambientato negli anni ’90. La scuola del titolo si riferisce all’istituto frequentato dal protagonista, Adam Gordon, studente laureando di liceo che si afferma attraverso rutilanti competizioni di... retorica. Ma si riferisce anche al mestiere dei suoi genitori, psicanalisti di un centro terapeutico piuttosto noto, con sede anch’esso a Topeka, città del Kansas. La storia, complessa e ben scritta, ruota attorno all’esperienza dell’espressione verbale, sia come metodo di autoaffermazione, sia come vettore di confessione e trattamento psicologico. Che l’America, il Paese in cui si affermò in pieno la psicanalisi di Freud & Co., stia vivendo una nuova fase, quella del linguaggio vincente (ad ogni costo)?

Recensione apparsa su ExtraSette n. 26, 2020
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