L'intervista

BNS: «Nessun indugio nella lotta all'inflazione»

Fra le aziende e le famiglie svizzere regna molta incertezza sull’evoluzione dell'inflazione — Ne abbiamo parlato con Fabio Bossi, delegato della Banca nazionale nella Svizzera italiana
© KEYSTONE / GAETAN BALLY
Roberto Giannetti
12.08.2022 06:00

Fra le aziende e le famiglie svizzere regna molta incertezza sull’evoluzione dell’inflazione, che fa salire i costi di produzione e riduce il potere di acquisto della popolazione. Ne abbiamo parlato con Fabio Bossi, delegato della Banca nazionale nella Svizzera italiana.

La Banca nazionale svizzera in giugno ha aumentato a sorpresa i tassi di interesse di 0,5 punti percentuali, prendendo in contropiede molti analisti, che non si aspettavano un rialzo già in giugno e così forte. Come mai l’istituto ha preferito questo timing e questa ampiezza?
«L’aumento si è reso necessario per contrastare la dinamica al rialzo dei prezzi al consumo, evitando che l’inflazione si propagasse ai beni e ai servizi in maniera più diffusa. Le ultime osservazioni mostravano infatti che la tendenza al rialzo dei prezzi aveva iniziato a riguardare anche beni e servizi non petroliferi o colpiti dalle difficoltà di approvvigionamento a livello mondiale. Senza l’aumento del tasso di interesse la previsione di inflazione presenterebbe quindi valori nettamente più elevati di quelli annunciati: 2,8% per il 2022, 1,9% per il 2023 e 1,6% per il 2024».

Molti osservatori ritenevano che la BNS prima di agire sul fronte dei tassi avesse l’abitudine di aspettare le decisioni della Banca centrale europea. Questa volta non è stato così. Come mai?
«L’ampiezza e la tempestività del rialzo dei tassi d’interesse determinano l’efficacia di una politica monetaria. Un rialzo tardivo obbliga infatti ad intervenire successivamente in modo più deciso e nefasto per la congiuntura, che va raffreddata quanto basta per calmierare la dinamica dei prezzi, rendendo più costoso il credito e più redditizio il risparmio. Ogni banca centrale agisce quindi in funzione del proprio mandato e del contesto macroeconomico in cui opera. Anche le politiche monetarie delle altre banche centrali rientrano nelle analisi considerate, ma non si deve desumerne una regola di dipendenza o sequenzialità delle decisioni. La BNS persegue infatti il proprio mandato in piena autonomia e indipendenza».

Ora la BNS ha adottato un nuovo paradigma, che rispetto a prima è «rivoluzionario»: il franco forte non è un problema ma un vantaggio. Ci può spiegare questo cambiamento?
«Negli ultimi anni il contesto internazionale instabile e caratterizzato da politiche monetarie non convenzionali ha accentuato l’effetto di valuta rifugio del franco e fatto scendere i tassi d’interesse. La BNS ha quindi agito per evitare che ciò si traducesse in una forza del franco troppo elevata e una deflazione, non compatibile con il mandato della stabilità dei prezzi. Tassi negativi e interventi ripetuti sul mercato dei cambi hanno contenuto questa evoluzione. La ripresa post pandemica e la guerra in Ucraina hanno però invertito la dinamica dei prezzi. Il problema non è quindi più un’inflazione troppo bassa, ma troppo alta. Le politiche monetarie sono quindi ora orientate al rialzo dei tassi, che tendono a contenere l’inflazione. Una maggiore forza del franco può quindi ora risultare compatibile con questo obiettivo».

La forza del franco è un problema se la concorrenza estera ne trae un vantaggio competitivo

Cosa significa questo nuovo paradigma per una regione di frontiera come il Ticino, che storicamente è stata sempre svantaggiata da un franco forte?
«La forza del franco è un problema se la concorrenza estera ne trae un vantaggio competitivo. Se il rafforzamento del franco è accompagnato da un rialzo dei prezzi all’estero, non vi è un rafforzamento della nostra valuta ma una stabilità del tasso di cambio in termini reali. Pur assistendo a un rafforzamento nominale, attualmente il tasso di cambio in termini reali resta relativamente invariato. È quindi probabile che il Ticino continuerà ad esser confrontato con sfide valutarie simili a quelle che aveva prima che la pandemia riducesse la permeabilità delle frontiere e fenomeni come il turismo degli acquisti. Di tanto in tanto potrebbero però esserci situazioni più o meno favorevoli in base all’evoluzione del differenziale d’inflazione, non più così stabile come nel recente passato».

Nei vostri incontri con gli imprenditori voi chiedete anche qual è l’inflazione che si aspettano in futuro. Cosa è emerso ultimamente? E le loro stime collimano con le previsioni della BNS?
«Ogni banca centrale deve attentamente osservare le aspettative d’inflazione, poiché influenzano l’evoluzione effettiva dei prezzi al consumo. La BNS segue quindi con attenzione vari indicatori al riguardo, tra cui anche le attese degli imprenditori intervistati dai delegati della BNS. Nel secondo trimestre l’inflazione da loro attesa per un orizzonte a tre-cinque anni era di circa l’1,9%. Si è quindi ancora nel pieno rispetto dell’obiettivo della stabilità dei prezzi, che la BNS assimila a un incremento annuo dell’indice nazionale dei prezzi al consumo inferiore al 2%».

Lei segue attentamente la congiuntura ticinese. Come si sta evolvendo in questo momento di difficoltà mondiale?
«La spinta della ripresa post pandemica è ancora percepita da molte imprese, anche se il dinamismo della domanda si scontra sempre di più con problemi di approvvigionamento e prezzi di produzione in aumento. Si notano anche i primi segnali di rallentamento della domanda estera, mentre quella sul mercato interno è prevalentemente stabile. La situazione geopolitica internazionale, i paventati rischi d’interruzione nelle forniture d’energia elettrica, il rafforzamento nominale del franco e le difficoltà di reclutamento di personale stanno inoltre incrinando l’ottimismo in merito allo sviluppo futuro degli affari. Tutti elementi che la BNS valuta con molta attenzione».