Crisi Credit Suisse

«Il mercato si attendeva da tempo decisioni rapide che sono mancate»

La banca fa parte del club ristretto di quelle a rischio sistemico, cioè troppo grandi per fallire - Per gli esperti Henry Peter e Paolo Bernasconi la situazione parte da lontano e soprattutto da una sottovalutazione della gestione dei rischi reputazionali e di mercato
Generoso Chiaradonna
05.10.2022 06:00

Credit Suisse fa parte delle cinque entità finanziarie ritenute, dalle autorità di vigilanza svizzere, a rischio sistemico. Le altre sono Ubs, il Gruppo Raiffeisen, la Banca cantonale di Zurigo e Postfinance. «Siamo nel campo di quello che si definisce ‘too big, to fail’, troppo grande per fallire. Questi istituti, rientrando in questa categoria, devono disporre sia di un maggiore cuscinetto di capitale e di liquidità sia di un’adeguata pianificazione di stabilizzazione e di emergenza», ci spiega Paolo Bernasconi, avvocato, già professore di diritto bancario all’Università di San Gallo.

«Dopo la crisi finanziaria internazionale del 2008, le banche riconosciute di rilevanza sistemica devono ottemperare a requisiti prudenziali più elevati rispetto agli altri istituti e sono inoltre tenute all’allestimento preventivo di un piano di stabilizzazione e d’emergenza», spiega ancora il professor Bernasconi. Ma c’è di più. La Finma allestisce altresì un apposito piano definito di resolution, il quale deve consentire a queste entità sistemiche di stabilizzarsi in caso di crisi. In ogni caso, la Finma deve garantire un’uscita ordinata dal mercato nel quadro di una eventuale liquidazione. «Misure, queste ultime, volute dal legislatore e dai regolatori, per evitare conseguenze negative sulla stabilità finanziaria o la necessità di fatto di un salvataggio da parte dello Stato a spese dei contribuenti», precisa ancora l’esperto che sottolinea come questo apparato normativo sia stato pensato proprio per tutelare l’economia nazionale in caso di un crac bancario clamoroso.

Dallo scorso luglio le attività del secondo gruppo bancario svizzero sono guidate da Ulrich Koerner con l’obiettivo dichiarato di ritrovare la redditività perduta e ripristinare la reputazione della banca. Pesano ancora le pesanti perdite (5 miliardi di dollari) nel fondo Archegos nella primavera del 2021; il rimprovero da parte delle autorità di regolamentazione nella brutta storia di pedinamenti e spionaggio di dirigenti in procinto di lasciare l’istituto per passare alla concorrenza; il coinvolgimento nel fallimento della società finanziaria Greensill Capital oltre allo scandalo dei ‘Tuna Bonds’ in Mozambico. Episodio che ha contribuito a macchiare ulteriormente la reputazione della banca.

L’acquisizione è un’opzione

Questa è la storia recente che ha contribuito a portare Credit Suisse nella situazione in cui si trova oggi e nella possibilità che venga acquisita da un concorrente estero o svizzero. «Non sappiamo cosa succederà nei prossimi mesi. L’acquisizione viene ventilata come un’opzione», aggiunge Bernasconi. «In ogni caso il controllo insufficiente rispetto all’appetito al rischio del management e la relativa ricaduta sul piano reputazionale nel passato non può essere sottaciuto e gioca un ruolo importante anche per la credibilità dell’attuale dirigenza. Manager chiamati a cercare di riorientare la strategia e recuperare la fiducia non solo degli investitori in Borsa, ma di tutti coloro che hanno interesse nell’istituto: azionisti, clienti, specie le grandi aziende, dipendenti e l’intera collettività». Il Ceo Koerner ha assicurato la scorsa settimana i grandi clienti e i dipendenti che Credit Suisse poggia su una solida base di capitale e una forte liquidità. «Vedremo se questa comunicazione rassicura. Ma la fiducia va coltivata ogni giorno in ogni settore, poiché rappresenta il capitale più importante di una banca», conclude Bernasconi.

Pessima gestione dei rischi

«I motivi per cui si è arrivati a questo momento di crisi è dato da una pluralità di fattori che si sono accumulati nel corso del tempo. In questo momento comunque questo è dato più al mancato controllo dei rischi che a sanzioni giudiziarie. I casi Greensill Capital e Archegos in cui Credit Suisse era coinvolta e venuti alla luce nella primavera del 2021 hanno causato perdite importanti, miliardare», ci ricorda Henry Peter, avvocato e professore di diritto commerciale all’Università di Ginevra. «Si tratta di problemi dovuti a carenze di governance, e più specificatamente di controllo dei rischi. Questo è a sua volta probabilmente dovuto a un certo disfunzionamento ai vertici di Credit Suisse. Penso che ciò non sia contestato e questo riguarda anche il Consiglio di amministrazione che, durante troppi anni, non si è dimostrato in grado di trovare le adeguate soluzioni, con le adeguate persone e strutture. Diciamo che la gestione dei rischi, non solo reputazionali, ma strategici e di mercato non ha funzionato a dovere in molte occasioni», continua il professore Peter.

Anche le tensioni attuali sul mercato finanziario con forti oscillazioni quotidiane, al rialzo e al ribasso, ci stanno dicendo che qualcosa circa le grandi incertezze del mercato in ordine alla capacità degli attuali vertici della banca di elaborare una strategia di rilancio
Henry Peter

«Anche le tensioni attuali sul mercato finanziario con forti oscillazioni quotidiane, al rialzo e al ribasso, ci stanno dicendo che qualcosa circa le grandi incertezze del mercato in ordine alla capacità degli attuali vertici della banca di elaborare una strategia di rilancio», aggiunge l’esperto che precisa: «Il mercato si attende da tempo decisioni rapide e convincenti che però tardano a essere prese o comunque comunicate. Questo è destabilizzante e distruttore di credibilità e quindi di valore. La data del 27 ottobre annunciata settimane fa è troppo lontana, nel frattempo le notizie si moltiplicano e l’azione del Credit Suisse è sottoposta a giudizi giornalieri quasi di logoramento. Giudizi che preoccupano la clientela che incomincia a guardare altrove». In conclusione: «La possibile separazione delle attività di Investment banking, all’origine di tanti problemi, da quella tradizionale di Private banking meno rischiosa può essere giusta ma comunque solleva altri interrogativi e quindi incertezze in quanto non si sa bene quanto l’Investment banking abbia posizioni aperte rischiose». «Chi potrebbe comprare in questa situazione e con quale impatto sul valore e quindi possibilità per il Credit Suisse di continuare da solo il suo percorso è un’incognita che probabilmente spiega in parte la vertiginosa caduta del titolo in Borsa”, si chiede il professor Peter.