Gestione di impresa

«La felicità non è un optional, le aziende ne hanno bisogno»

Monica Garbani, esperta di formazione e Chief Happiness Officer, spiega come le imprese di successo cercano di motivare e valorizzare le persone
Le imprese dovrebbero cercare dei modelli di gestione che ottengano risultati positivi sia per gli individui che per l’azienda.  ©Shutterstock
Roberto Giannetti
22.06.2021 06:00

I nuovi modelli di gestione aziendale mettono sempre più l’accento sulla valorizzazione delle persone. Ne abbiamo parlato con l’esperta Monica Garbani.

Lei ha una formazione di Chief Happiness Officer (CHO). Quali sono i compiti di questa funzione all’interno di un’azienda?

«Il CHO è un professionista esperto in organizzazioni positive che possiede le competenze e le abilità necessarie per accompagnare organizzazioni, team e persone in un processo di miglioramento. Il CHO guida questo importante e inevitabile cambiamento attraverso un approccio integrato per favorire la transizione delle organizzazioni dal modello organizzativo attuale al modello culturale delle organizzazioni positive. Lo fa facendo interagire tra loro i processi organizzativi, i comportamenti e la cultura aziendale in modo da generare coerenza e fare del benessere una solida strategia organizzativa».

Come agisce all’interno delle strutture?

«Il CHO vede le organizzazioni come un organismo vivente, complesso e in continuo cambiamento. In azienda osserva, analizza, sceglie, sviluppa, gestisce e implementa pratiche e processi adeguati, misurando e verificando costantemente i cambiamenti ottenuti. Per fare questo utilizza i principi della scienza della felicità perché conosce il valore delle persone e applica i principi del funzionamento umano in sistemi complessi».

Come è nata questa “scienza”?

«La scienza della felicità è una disciplina giovane e nasce dalla convergenza e dall’integrazione di contributi che provengono da scienze quali la biologia, la fisica quantistica, l’economia, la psicologia positiva, la filosofia e alcune discipline orientali. Le ricerche prodotte in questo campo hanno dimostrato la neuroplasticità del cervello evidenziando che può essere allenato a nuovi schemi di pensiero. In pratica con semplici azioni ben calibrate si può costruire la propria felicità, per questo la felicità è considerata una competenza che può e deve essere allenata. Attualmente diverse famose università e business school nel mondo, quali Harvard, Barkeley e Standford, offrono ai loro studenti percorsi inerenti la scienza della felicità come “Happiness management” o “Positive organisation”».

Quali sono gli obiettivi e gli strumenti principali sui quali bisogna puntare per applicare questi principi in una impresa?

«L’obiettivo principale è l’evoluzione dell’azienda in un organizzazione positiva con un modello culturale orientato alla positività e capace di generare e rendere sostenibili nel tempo dei luoghi in cui le persone possano fiorire ed esprimere le loro potenzialità in relazione con gli altri, in modo da ottenere risultati positivi sia per l’individuo che per l’azienda. Per raggiungere questo obiettivo il CHO lavora e cura quattro dimensioni organizzative: quella culturale che orienta l’organizzazione verso un proposito forte ed ecosistemico che crei un impatto ecologico e sociale; quella del benessere e della felicità come strategia organizzativa coerente; quella dei leader positivi, in grado di far crescere il proprio team; quella organizzativa che sceglie e gestisce i processi e le pratiche aziendali adeguate in modo da generare coerenza e benessere».

Quali sono i motivi per i quali un’azienda in genere decide di ricorrere alla consulenza o di nominare un Chief Happiness Officer?

«Le aziende che introducono questa figura sono coscienti che prendersi cura del capitale umano è una strategia vincente. Con l’intervento di un CHO si ha un impatto immediato sul benessere dei collaboratori con il relativo aumento della motivazione e del senso di appartenenza. Più a lungo termine si aumenta efficacia, innovazione e produttività. Scegliendo e implementando pratiche adeguate il CHO aiuta a sviluppare all’interno dell’organizzazione valori come fiducia, inclusività, rispetto, coerenza e collaborazione».

Esistono studi che dimostrano il miglioramento delle performances aziendali?

«Ci sono numerosi studi che si sono occupati di questo argomento. Ad esempio il rapporto Gallup “State of the global Workplace” ci dice che l’87% dei lavoratori nel mondo è demotivato, con una perdita di produttività pari a 500 miliardi. Gli studi sulle organizzazioni positive confermano invece che questo tipo di modello ottiene risultati superiori alle aspettative come l’aumento del 300% della capacità di innovare (HRB), del 44% di senso di appartenenza (Gallup), del 37% sulle vendite e del 31% sulla produttività (S.Anchor)».

Il management all’interno di questi processi gioca un ruolo fondamentale, anche perché in un certo senso deve vedere arginato il proprio potere. Qual è il ruolo dei dirigenti nel favorire i cambiamenti necessari?

«Il ruolo dei dirigenti è fondamentale. Non esistono organizzazioni positive senza leader positivi, i quali sono in grado di sostenere e guidare i collaboratori e l’azienda attraverso le sfide che devono affrontare. Vengono formati per questo e sanno creare relazioni di fiducia tra e con i collaboratori, favoriscono la responsabilità individuale, la crescita personale e l’innovazione. In poche parole sono in grado di far crescere il proprio team».