L'intervista

«L'aumento delle imposte è inevitabile, ed è più equo del taglio di servizi e sussidi»

Terza puntata della serie di avvicinamento alla discussione in Parlamento sul preventivo: tocca al capogruppo dei Verdi Matteo Buzzi
©Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
29.01.2024 06:00

Puntata numero tre con i rappresentanti dei principali partiti in Parlamento. Dopo Sergio Morisoli (UDC) e Boris Bignasca (Lega), ecco Matteo Buzzi, capogruppo dei Verdi.

 Dite no al Preventivo 2024: si tratta di coerenza rispetto al vostro essere all’opposizione pur essendo stati partecipi dell’elezione di Marina Carobbio in Governo?
«Come Verdi abbiamo sempre bocciato i preventivi senza entrare nel merito di un rapporto alternativo. Per realizzare la transizione ecologica le priorità di fondo sono per noi infatti da modificare radicalmente. Anche con questo preventivo la situazione è la stessa che in passato. Quest’anno siamo però coscienti che la situazione finanziaria è particolarmente difficile. Ci assumiamo quindi la nostra responsabilità di essere almeno in parte anche un partito di governo. Per questo sosterremo il rapporto di minoranza del PS che oltre a partire da una diagnosi della situazione più corretta è più equilibrato e rispettoso sia delle fasce fragili della popolazione che del personale statale».

Per avere la vostra adesione che tipo di preventivo ci voleva?
«Noi chiediamo lo stralcio delle misure di risparmio previste sui sussidi di cassa malati (ora fatto suo anche dal rapporto di maggioranza), le misure di risparmio previste sugli Istituti sociali, il contributo di solidarietà chiesto ai dipendenti pubblici e il risparmio sui trasporti pubblici. Inoltre siamo convinti che vada riconosciuto il rincaro ai dipendenti dell’amministrazione pubblica e ai docenti. In un cantone con un mercato del lavoro in contino degrado e con salari medi di 1.200 franchi al mese più bassi rispetto al resto della Svizzera lo Stato non può essere ulteriormente complice del disastro. Il rincaro va riconosciuto anche alle soglie per gli aiuti sociali e ai livelli massimali degli assegni integrativi e all’assistenza. In totale chiediamo, rispetto al preventivo del Consiglio di Stato, 69 milioni di maggiori spese, compensate per una trentina di milioni con delle maggiori entrate se il referendum sulla riforma tributaria dovesse passare in votazione popolare e dalle nuove entrate fiscali sui permessi di soggiorno nelle residenze secondarie e sulle filiali di aziende confederate con sede oltralpe (una ventina di milioni). Ricordo che il deficit strutturale di circa 150 milioni che abbiamo è dovuto in gran parte agli sgravi fiscali votati dal 2017 in poi. Se la maggioranza borghese toglie risorse allo Stato allora bisogna cominciare a definire delle priorità anche negli investimenti: per noi sono prioritari quelli verso la transizione ecologica, la formazione e il mercato del lavoro. In questi ambiti è pensabile anche far capo all’indebitamento. Per gli altri si può in parte rinunciare (ad esempio edificio EFG), trovare alternative (ad esempio 30 km/h invece dell’asfalto fonoassorbente nelle zone urbane) o spalmarli su più anni (ad esempio la manutenzione strade). Complessivamente il rapporto che abbiamo firmato prevede un aggravio di solo una quindicina di milioni rispetto a quello del Consiglio di Stato».

Siete coscienti che senza un documento d’indirizzo finanziario lo Stato avrà molti problemi di funzionamento sul lungo termine?
«Fintanto che non si ha la giusta diagnosi della situazione è difficile dare un indirizzo sostenibile sia nell’anno in corso che a medio e lungo termine. Il saccheggio delle casse statali e i relativi regali fiscali alle fasce molto benestanti determinano la situazione attuale. La ricchezza aumenta ma è sempre più concentrata in poche mani. Inoltre viviamo in un Cantone che si trova in una situazione socioeconomica unica: i salari più bassi e i tassi di povertà più alti della Svizzera. Orientarsi sulla fiscalità di altri cantoni non comparabili con il Ticino è quindi semplicemente autolesionista, fintanto che non avremo un mercato del lavoro “svizzero” anche da noi. È ora di lavorare finalmente per una svolta sui salari (e relativi controlli), per ridurre la concorrenza fiscale intercantonale e per una perequazione finanziaria che tenga maggiormente conto delle caratteristiche ticinesi».

Lo Stato nel disastrato mercato del lavoro ticinese deve dare il buon esempio. Speriamo evidentemente che l’emendamento possa essere maggioritario in Parlamento

Il Centro presenterà un emendamento per tagliare il contributo di solidarietà del 2% per i dipendenti pubblici (parte di salario eccedente i 60.000 franchi). Lo sosterrete?
«Certamente, fa già parte delle nostre proposte. Lo Stato nel disastrato mercato del lavoro ticinese deve dare il buon esempio. Speriamo evidentemente che l’emendamento possa essere maggioritario in Parlamento».

Se il Cantone supererà la soglia prevista per il freno all’indebitamento potrebbe scattare il «caro imposte». Alla fine sembra di capire che questo scenario non vi preoccupa più di tanto. È così?
«Visti i regali fiscali ai ricchi degli ultimi anni e senza una revisione dei compiti e delle priorità dello Stato, è inevitabile andare verso un aumento delle imposte (abolendo il decreto Morisoli). In genere l’aumento delle imposte è però molto più equo (progressività, si paga in funzione delle proprie possibilità) che il taglio dei servizi o dei sussidi (che tocca maggiormente le fasce già fragili e il ceto medio)».

Come sta l’alleanza rossoverde? Sembra che ognuno faccia un po’ i fatti (e gli interessi) propri?
«La collaborazione all’interno del Gran Consiglio è ottima e l’alleanza sui temi funziona bene, i rapporti di minoranza sugli oggetti centrali sono quasi sempre in comune. Ci sono delle comprensibili sfumature diverse su alcuni temi: giusto che sia così, rimaniamo due partiti diversi».

Con l’aria che tira, questa legislatura è già compromessa?
«Da un lato con lo spostamento a destra del PLR e parte del Centro si è creato un evidente vuoto al centro (mancano i compromessi), dall’altro è aumentata la litigiosità tra i partiti di destra e la frammentazione. In questo contesto sinistra e Verdi non hanno quasi mai i numeri per ottenere delle maggioranze. Per noi Verdi ogni legislatura è dunque sempre una dura battaglia. La maggioranza di destra ha però perso il contatto con la realtà del Paese e i nodi stanno venendo al pettine. Le proteste di piazza e le votazioni popolari potranno aiutarci a indirizzare la politica cantonale nella direzione da noi desiderata. Inoltre continueremo a sfornare proposte tramite iniziative e mozioni sperando di ottenere qualche isolato successo anche in Parlamento».