Investire

Materie prime protagoniste del confronto geopolitico

Dopo la ripresa post-pandemica il settore ha assunto un nuovo ruolo, quello di "arma" da utilizzare nei conflitti strategici - Oltre al petrolio entrano in gioco le terre rare, che dipendono in gran parte dalla Cina
© KEYSTONE (Liu debin - Imaginechina)
Gian Luigi Trucco
16.08.2022 06:00

I nuovi incerti scenari geopolitici hanno riproposto il termine «weaponization», cioè l’uso, quale strumento di pressione strategica, di qualcosa che non sia propriamente un’arma. In questo caso si tratta di settori di materie prime, già sotto i riflettori per la forte domanda post-pandemia, le strozzature logistiche che ne sono seguite, la trasformazione tecnologica ed ecologica, i loro aumenti di prezzo che hanno contribuito alla forte inflazione e, da ultimo, le crisi geopolitiche che le vedono ancor più protagoniste.

Le sanzioni USA ed europee, già adottate in passato con incerti risultati nei confronti dell’Iran ed imposte quindi con la crisi russo-ucraina, o meglio russo-americana, si manifestano soprattutto nel comparto energetico per le contromisure adottate da Mosca. Il petrolio Brent è salito del 28% da inizio anno ed il gas naturale del 133%. L’Europa dipende dalla Russia per il 40% del suo fabbisogno di gas naturale e per il 36% di petrolio. Peraltro gli stessi Stati Uniti hanno importato nel 2021 il 7% del loro fabbisogno di petrolio ed occasionalmente si sono riforniti anche di gas naturale russo.

Mosca riduce le forniture

Ora Mosca riduce le forniture ed agisce anche sui gasdotti ed oleodotti che controlla. Ha dirottato le sue esportazioni di petrolio, seppur a prezzo scontato, prevalentemente verso l’Asia, divenendo il primo fornitore della Cina con circa 2 milioni di barili al giorno, superando l’Arabia Saudita (1,30 milioni di barili) ed incrementando notevolmente le proprie entrate, riflesse nella forte rivalutazione del rublo.

I Paesi europei, in accordo col G7, preoccupati delle conseguenze economiche nonché degli scarsi effetti delle sanzioni, sono impegnati in un progetto teso a porre un tetto ai prezzi energetici russi ed a limitare l’import di petrolio.

Distorsioni di mercato

Il piano, proposto inizialmente dalla segretaria al Tesoro USA Janet Yellen, potrebbe tuttavia, secondo vari analisti, avere effetti contrari generando distorsioni di mercato. Se Bruxelles è preoccupata per lo spettro di un inverno al freddo ed al buio e per le conseguenze sull’inflazione, a Washington il mondo politico democratico teme un calo di consenso. Recentemente la visita del presidente Biden in Arabia Saudita, volta ad ottenere dall’OPEC+ un aumento sostanziale dell’offerta, si è risolta con un incremento irrisorio di 100.000 barili. Del resto le relazioni fra Riyahd e Washington si sono deteriorate dopo le dichiarazioni di Biden, che ha definito il regno saudita «Stato paria» ed «assassino» il suo principe ereditario. Il vertice OPEC+ vede inoltre la Russia in posizione rilevante. La Casa Bianca ha così elaborato un «Inflation Reduction Act» che prevede incentivi fiscali per energie alternative e veicoli elettrici ed aggravi per i combustibili fossili.

L’uso strategico delle materie prime coinvolge molti ambiti, dai metalli, oggetto da lungo tempo di guerre commerciali fra Washington e Pechino, fino ai prodotti alimentari.

Le riserve di Pechino

Pechino, che è il maggiore utilizzatore globale di commodity, ne fa da anni incetta e ne condiziona i prezzi. Le sue riserve «strategiche» di prodotti sensibili, quali cobalto, proveniente da impianti congolesi finanziati dalla Cina, litio, nichel, antimonio, germanio, molibdeno, oltre ai più tradizionali alluminio, rame e zinco, pongono ipoteche per lo sviluppo della filiera elettrica alternativa nei confronti dei Paesi importatori.

I 17 elementi con strani nomi

Uno dei casi oggi più rilevanti è quello delle terre rare, i 17 elementi dagli strani nomi ma così diffusi nei loro impieghi high-tech civili e militari, dagli schermi TV ai sistemi di guida missilistica, dalle terapie oncologiche alle lenti speciali. Nei loro confronti la posizione di Pechino è dominante: ne controlla oltre un terzo dell’estrazione totale, seguita a distanza da Russia, Brasile, India ed Australia, ma soprattutto ne controlla il 90% della lavorazione, complessa ed inquinante, tanto che i prodotti estratti altrove vengono spesso inviati in Cina per essere lavorati.

Ricchi giacimenti si trovano anche nell’Ucraina orientale ed in Afghanistan, per cui i legami con gli sviluppi geopolitici appaiono evidenti. Pechino ha fondato due grandi holding per gestire il settore e controllarne l’export e, visti i venti di guerra che spirano nello Stretto di Taiwan dopo la visita di Nancy Pelosi, anch’esso può diventare strumento di pressione.

La questione alimentare

Non meno seria la questione alimentare, che il conflitto in Ucraina ha esacerbato, in quanto il Paese è importante esportatore di granaglie, olio di girasole e fertilizzanti. La crisi alimentare colpisce in particolare l’Africa maghrebina e subsahariana, parti del Medio Oriente e dell’Asia. I tumulti in Sri Lanka ed in Libano sono anche legati alla penuria ed al prezzo dei cibi. Se di recente i porti ucraini del Mar Nero hanno ripreso ad effettuare le spedizioni, è nata una polemica sulle destinazioni dei carichi. Secondo una dichiarazione di giovedi del Ministero degli esteri di Mosca le navi avrebbero fatto rotta verso porti occidentali invece che verso le aree dell’Africa, e dell’Asia ove il bisogno è maggiore, come Yemen, Somalia e Botswana.

Anche l’acqua è divenuta oggetto di contrasto politico con la realizzazione della grande diga dell’Etiopia sul Nilo Azzurro, che ha messo in allarme Egitto e Sudan e costituirà motivo di tensione ulteriore nel già martoriato Corno d’Africa.