Il caso

La fine dell'ananas e dei «pepperoni», Domino's chiude le filiali italiane

La catena statunitense, sbarcata nel Belpaese nel 2015 con piani bellicosi, dopo 7 anni e un sacco di debiti si è arresa alla concorrenza
Marcello Pelizzari
10.08.2022 06:00

Addio. Alla pizza con l’ananas, a quella con i «pepperoni» (salame piccante) e, ancora, ad abbinamenti audaci che comprendono patatine fritte, cheddar e altri masochismi alimentari. Addio, sì. Domino’s Pizza, in Italia, chiude. Logico, se pensiamo alla visione piuttosto talebana di molti clienti della Penisola. Che, alle americanate, hanno sempre preferito la tradizione.

Sbarcata in Italia nel 2015 con piani bellicosi, l’azienda statunitense ha appena chiuso l’ultima delle sue 29 filiali nel Belpaese. E dire che, a suo tempo, aveva aperto linee di credito piuttosto sostanziose per sostenere una strategia mastodontica: aprire 880 punti vendita.

Maledetti servizi di delivery...

Le cose, evidentemente, sono andate diversamente. In particolare, complice la pandemia, Domino’s si è trovato a lottare con una concorrenza sempre più agguerrita e organizzata sul fronte delle consegne a domicilio. Quindi, rimasta senza fondi, ha cercato protezione dai creditori. Invano.

Domino’s aveva azzannato il mercato italiano, complicatissimo, basti pensare alle fortune alterne di Starbucks, grazie a un accordo di franchising con ePizza SpA. Pur affermando di voler «rispettare la tradizione», ha offerto sin dal principio una logica squisitamente a stelle e strisce. Con topping ambiziosi, come l’ananas appunto. Nella speranza, quantomeno, di conquistare una fetta di gioventù.

L’espansione, dicevamo, è stata frenata dalla capacità, da parte dei pizzaioli tradizionali, di aumentare le consegne a domicilio o, ancora, di stringere accordi con terze parti. Pensiamo a Glovo, JustEat, Deliveroo e via discorrendo.

In un rapporto che accompagnava i risultati, scarsi, del quarto trimestre 2021, ePizza sottolineava proprio «la concorrenza nel mercato delle consegne di cibo» oltre al ritorno, fisico, dei clienti nei ristoranti. Domino’s, d’altronde, aveva già ridotto le operazioni da tempo. Lo scorso 29 luglio ha smesso di offrire servizi tramite il suo sito web.

Soffre pure il Regno Unito

Se è vero che il business, rispetto ai citati piani bellicosi del 2015, dall’esterno assomigliava al classico morto che cammina, è altrettanto vero che le chiusure hanno sorpreso non pochi clienti. I quali, sui canali social dell’azienda, hanno chiesto come mai le loro chiamate e i loro ordini non andassero a buon fine o, ancora, come mai il punto vendita sotto casa avesse chiuso dall’oggi al domani.

Nel bailamme generale, lo scorso aprile un tribunale di Milano aveva concesso all’azienda una protezione contro i creditori per 90 giorni. Le misure, che fra le altre cose impedivano agli istituti di credito di esigere il rimborso del debito o il sequestro dei beni aziendali, sono tuttavia scadute lo scorso 1. luglio. Secondo gli ultimi rapporti annuali certificati, ePizza SpA lamentava debiti per 10,6 milioni di euro alla fine del 2020. Dev’essere che la pizza con l’ananas non piaceva così tanto, non quanto auspicava Domino’s. Che, ora, ha ingoiato un boccone amaro. Anzi, amarissimo.

Detto dell’Italia, le cose non vanno benissimo anche nel Regno Unito, dove Domino’s recentemente ha accusato un calo dei profitti del 16%. Il motivo? L’aumento del costo degli ingredienti.