L'intervista

«Le armi nucleari? Più probabili i grandi attacchi aerei in stile USA su Hanoi»

Secondo il generale Paolo Capitini al momento non ci sarebbero le condizioni tattiche per usare l'atomica, e sugli sviluppi della guerra spiega: «I riservisti non sono pronti, ma il meteo di ottobre potrebbe rallentare gli ucraini e dare tempo ai russi»
Michele Montanari
04.10.2022 16:30

Lo spettro dell’arma nucleare è tornato ad aleggiare sull’Ucraina, dopo che le truppe di Kiev hanno iniziato a mettere a segno importanti risultati militari nelle regioni occupate. Sul tavolo sempre più logoro della guerra, ci sono poi altri importanti avvenimenti da considerare: i referendum "farsa" che hanno portato le regioni di Donetsk, Zaporizhzhia, Kherson e Lugansk sotto la bandiera russa, la mobilitazione dei riservisti e il continuo sostegno dell’Occidente a Zelensky. Quali scenari aspettarsi, dunque? Lo abbiamo chiesto al generale Paolo Capitini, esperto di scienze strategiche e di storia militare, che ha prestato servizio presso il Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma, il Corpo di Reazione Rapida della NATO a Lille e la Scuola Sottufficiali Esercito a Viterbo.

Bombardamenti aerei come in Vietnam

Putin è tornato a sventolare il vessillo del nucleare. Ma quanto è concreta la possibilità di utilizzare un’arma atomica? Il generale Capitini analizza la situazione da un punto di vista strategico: «Credo che sia più che altro una minaccia: parliamo di azioni che stanno nel campo della propaganda. Sbandierare il nucleare sortisce l’effetto di preoccupare tutto il campo avverso: tutta l’Europa ne parla e lo fa in modo istintivo, non ragionato. L’opinione pubblica avversa, in una guerra, fa parte degli obiettivi e spaventarla è un chiaro vantaggio per Mosca. Detto ciò, l’impiego di un’arma nucleare tattica è subordinata a condizioni strategiche che al momento non ci sono. Se ammettiamo, per ipotesi, che i russi si trovassero in un’offensiva decisiva e avessero necessità di aprire una falla nella difesa ucraina, allora potrebbero pensare di usare una bomba atomica. Viceversa, se gli ucraini fossero totalmente all’attacco e ci fosse la necessità di fermarli a tutti i costi, allora Mosca potrebbe usare l'atomica. Ma nella realtà, entrambe le ipotesi non sono presenti perché i russi sono lontanissimi dall’essere all’offensiva e l’avanzata ucraina si consuma in termini di 10-12 km al giorno: non ci sono i presupposti tattici per l’impiego di un’arma nucleare». L’esperto aggiunge: «Cosa diversa è invece l’impiego in massa del munizionamento convenzionale. Un esempio? Un grosso bombardamento aereo come quelli degli statunitensi su Hanoi. Si tratta di un attacco convenzionale concentrato su una certa porzione del fronte, con bombe a caduta come quelle sganciate dai B-52 su Tora Bora. Questo, nel campo delle ipotesi, è uno scenario che ha una probabilità di gran lunga maggiore a quello dell’arma nucleare tattica».

Utilizzare il Poseidon vorrebbe dire: “Ok, estinguiamoci tutti, facciamola finita qui”. Si tratta di propaganda, perché non siamo assolutamente su questa strada

Paura per il sottomarino nucleare Belgorod

La componente propagandistica è rafforzata dai recenti movimenti del sottomarino nucleare Belgorod, che hanno messo in allarme la NATO. Il generale fa chiarezza su questo punto: «Si tratta di sottomarini lanciamissili nucleari e fanno parte di quella che viene definita la triade nucleare. Questa comprende missili intercontinentali, bombardieri strategici in grado di portare bombe atomiche e, appunto, sottomarini nucleari. Sia USA che Russia hanno questa triade, mentre alla Cina manca il sottomarino nucleare». E prosegue: «I movimenti di questi mezzi vengono segnalati, in primis dai satelliti – non è possibile muoversi “di nascosto” – e l’eventuale lancio di armamento, come il siluro Poseidon, che è una delle nuove armi della Russia, è noto agli avversari anche quando si fanno le prove: i protocolli prevedono che si avvisi la controparte, in questo caso gli USA, fornendo tutte le informazioni sulla prova di funzionamento, dal luogo all’ora. Gli avversari sorvolano addirittura l’area per controllare che tutto funzioni a dovere. Muovere il sottomarino Belgorod, con un siluro capace di trasportare una bomba termonucleare, fa certamente paura, ma stiamo parlando di uno scenario di guerra da Dottor Stranamore. Utilizzarlo vorrebbe dire: “Ok, estinguiamoci tutti, facciamola finita qui”. Si tratta di propaganda, perché non siamo assolutamente su questa strada».

L’annessione e le truppe demotivate

Dopo la dichiarazione di annessione delle regioni ucraine, che cosa cambia? Per il Cremlino, d’altronde, è come se ora si combattesse in territorio russo. Secondo Capitini «mettere un timbro russo su quei territori» è ben diverso dal combattere realmente in Russia. L’esperto spiega: «Bisogna vedere come i soldati di Putin al fronte percepiscono questi territori. Se sento che qualcosa mi appartiene e la considero casa mia, chiaramente la difendo in un certo modo, ma potrebbe non essere questo il caso». Un esempio: «La Svizzera ha una sua storia fatta di convivenza tra cantoni e lingue, dunque un cittadino svizzero sa esattamente cos’è la sua nazione. Se gli venisse chiesto di combattere per la Calabria – facciamo finta che la Regione italiana sia stata annessa dalla Confederazione – gli svizzeri non sarebbero disposti a combattere come per la loro patria. Ecco, nei territori ucraini potrebbe succedere proprio questo».

Fondamentale il freddo di ottobre

Secondo Capitini, se l’arma nucleare tattica al momento resta solo un’ipotesi, c’è una questione più reale da considerare, ossia che «l’esercito russo in tutto il territorio ucraino non ha più riserve da impiegare per fermare l’avanzata delle truppe di Zelensky». Il generale constata: «Putin deve solo sperare che chi sta al fronte in prima linea regga, perché al momento non ha più nessuno da mandare a combattere e la situazione potrebbe veramente precipitare. C’è un fattore che potrebbe “regolare” un po’ il tempo: questa offensiva si svolge a ottobre, che è il mese delle piogge e del freddo. Al momento queste condizioni meteorologiche non si vedono, ma tra una ventina di giorni statisticamente dovrebbero arrivare. Con pioggia e freddo, i movimenti, soprattutto per chi attacca, quindi gli ucraini, saranno estremamente lenti e difficoltosi. E i russi, se ciò dovesse accadere, dovrebbero poter reggere fino alla fine di ottobre: se riuscissero ad arrivare fin lì, la partita si potrebbe riaprire in primavera».

È una partita a poker, Putin ha aumentato la posta per capire se l’Occidente è in grado di rilanciare: vuole vedere se l’Europa è disposta ad aumentare le tasse per fornire nuovi aiuti a Kiev

L’arrivo dei riservisti e la primavera

I riservisti al momento non sono pronti e molti stanno abbandonando la Russia per sfuggire alla mobilitazione. Su questo punto, il generale evidenzia: «Bisogna fare alcuni distinguo. La Russia delle grandi città, come San Pietroburgo e Mosca, è molto differente dal resto del Paese. Nelle province lontane, gli uomini si stanno arruolando normalmente, ci sono parecchi volontari che si presentano per la mobilitazione. Mentre le città rispondono esattamente in maniera opposta, con la grande fuga che vediamo sui media. Ma la mobilitazione in realtà procede: su 100 richiamati alle armi, 70 si presentano e 30 scappano o protestano». Capitini aggiunge: «Il problema semmai è un altro: cosa me ne faccio di quei 70 che sono arrivati? È tutta gente che va ricondizionata, va riabituata e rimessa in forma, anche fisica, per fare il militare. Il sistema addestrativo della Russia però è sotto pressione: non ci sono istruttori perché sono stati mandati quasi tutti a combattere. L’addestramento porta via molto tempo. La mobilitazione tocca un milione e mezzo di riservisti, non 300 mila come annunciato all’inizio. Di questo milione e mezzo, i primi 600 mila sarebbero più o meno pronti a essere impiegati verso primavera. E qui torniamo al discorso di prima: i russi devono resistere tutto il mese di ottobre, fino a che non farà freddo. Se riuscissero a resistere, in primavera sarà come iniziare un'altra guerra, con nuovi soldati addestrati ed equipaggiati».

La partita a poker tra Putin e l’Occidente

E poi c’è il segnale di Mosca all’Occidente. Secondo il nostro interlocutore, «con la mobilitazione di un milione e mezzo di soldati, Putin sta dicendo all’Ucraina: “Tu sei capace di fare altrettanto? Anche tu sei in grado di mobilitare tutti questi uomini?”. E non solo. C’è un’altra domanda, rivolta a noi occidentali: “Siete disposti a pagare per equipaggiare ulteriori soldati ucraini?”. È una partita a poker, Putin ha aumentato la posta per capire se l’Occidente è in grado di rilanciare: vuole vedere se l’Europa è disposta ad aumentare le tasse per fornire nuovi aiuti a Kiev». Il generale Capitini conclude: «Il presidente russo inoltre deve cercare di tenere a freno la sua fronda interna più estrema: c’è una grossa fetta che vorrebbe una guerra a “cannonate”, breve e violentissima. Putin deve dare qualcosa anche a loro, per tenerli buoni: non può dar loro una guerra totale, ma la mobilitazione sì. Ricordiamoci che lo “zar”, in primo luogo, deve parlare alla sua nazione. Solo in un secondo momento si rivolge a noi».

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