Israele

Netanyahu caccia il ministro critico sulla riforma

Non si sa al momento - vista la stringata comunicazione dell'ufficio del premier - se Gallant avrà un altro incarico di governo o meno, ma appare improbabile
© KEYSTONE (AP Photo/Ariel Schalit)
Ats
26.03.2023 19:57

È bastato un giorno a Benyamin Netanyahu per licenziare in tronco il ministro della Difesa Yoav Gallant, del Likud, reo di aver chiesto di congelare la riforma giudiziaria che sta spaccando Israele. Una mossa - non appena rientrato dalla visita di stato a Londra - che gli era stata sollecitata soprattutto dall'estrema destra del suo governo, a cominciare dal ministro della Sicurezza nazionale, il falco Itamar Ben Gvir.

Gallant aveva spiegato di appoggiare la riforma ma di chiederne il blocco - fino al 26 aprile, il giorno dell'Indipendenza nazionale - per la necessità «di ritrovare l'unità nazionale». «Già adesso - aveva ammonito l'ormai ex titolare della Difesa - esiste un pericolo chiaro, immediato e concreto alla nostra sicurezza nazionale». Parole che hanno incrinato il fronte dell'esecutivo, visto il sostegno avuto da altri esponenti del Likud, lo stesso partito del premier, come Yuli Edelstein o David Bitan.

Non si sa al momento - vista la stringata comunicazione dell'ufficio del premier - se Gallant avrà un altro incarico di governo o meno, ma appare improbabile considerato che a questo punto non serve a nulla neppure la riunione della maggioranza che Netanyahu aveva convocato in un primo tempo per oggi e che poi, alla chetichella, era slittata a domani. A sostituire Gallant potrebbe essere l'attuale ministro dell'Agricoltura Avi Dichter, anche lui del Likud, che aveva scelto di appoggiare la posizione di Gallant per poi ripensarci nello spazio di 24 ore affrettandosi a dichiarare la sua intenzione di votare la riforma.

A rappresentare la necessità per l'esecutivo di serrare i ranghi è il fattore tempo. L'intenzione del governo, nonostante il moltiplicarsi delle proteste in piazza, è infatti quella di varare l'intero provvedimento per la settimana entrante e, in ogni caso, prima della pausa della Knesset per la Pasqua ebraica. Non a caso per domani è convocato una commissione della Knesset che deve esaminare la questione chiave del Comitato di nomina dei giudici della Corte Suprema. L'obiettivo di Netanyahu è di portare a 11 i membri del Comitato (invece dei 9 di oggi) assicurando la prevalenza dei componenti di nomina politica sui tecnici. Altra intenzione del premier sarebbe nominare David Amsalem (Likud e noto oppositore dei poteri della Corte Suprema) secondo ministro della Giustizia che affianchi l'attuale responsabile Yariv Levin, ritenuto uno dei due architetti della riforma.

Neanche l'opposizione però intende mollare, e alle proteste di piazza aggiunge le petizioni alla Corte Suprema contro Netanyahu. Ad esempio, il premier ora ha una settimana di tempo per rispondere alla Corte che ha accolto un'istanza della ong 'Movimento per la qualità del governo' che accusa Bibi di aver violato la legge avendo annunciato l'intenzione di occuparsi della riforma: in pieno conflitto di interessi, secondo la ong, visto il processo contro di lui in corso a Gerusalemme. Netanyahu si è fatto scudo di una recentissima legge approvata dalla maggioranza di destra che stabilisce l'incompatibilità di un primo ministro in carica solo in caso di problemi fisici o psichici e non per altro.

Sul fronte delle piazze, manifestazioni tutto il giorno si sono svolte sotto casa di Dichter e di Levin, mentre a Tel Aviv è stata indetta 'La settimana della democrazia'. I media poi hanno dato ampio risalto ad una fonte dell'esercito secondo cui - sulla linea di Gallant - i nemici di Israele giudicano ora lo Stato ebraico «debole e limitato nella capacità di reazione» a causa delle spaccature provocate dalla riforma nel Paese e dell'isolamento internazionale.