«Quel limo sparso sui campi non era inquinato»

Quel limo, scarto della lavorazione di materiale alluvionale, poteva essere sparso nei campi della società Terreni alla Maggia, oppure andava smaltito in discarica? Questo il quesito al quale deve rispondere la giudice della Pretura penale Elisa Bianchi Roth nel processo che vede alla sbarra il direttore della Silo & Beton Melezza e il titolare di una ditta di trasporti del Locarnese accusati dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas di aver infranto, per negligenza, la Legge federale sulla protezione dell’ambiente. Reato che i due ritengono di non aver commesso e che quindi hanno deciso di contestare impugnando i decreti d’accusa che propongono delle pene pecuniarie sospese e delle multe. Per il direttore della Silos & Beton Melezza, il decreto d’accusa contempla anche il reato di infrazione alla Legge federale sulla protezione delle acque. Quest’ultima fattispecie riguarda oltre 500 tonnellate di limo che, depositate su di una scarpata che finisce nella Melezza nei pressi del silo ex Rampazzi di Camedo, avrebbe cagionato un concreto pericolo d’inquinamento delle acque del fiume. «Ma se quello era lo stesso limo naturale prelevato del fiume, come avrebbe potuto provocare un inquinamento?», ha ribattuto oggi, martedì, in aula penale l’avvocato Marco Bertoli, patrocinatore del direttore della Silo & Beton Melezza, contestando in toto il decreto d’accusa firmato dal pp Akbas, il quale non era presente al dibattimento.
«Composizione esatta ignota»
Quanto ai 13.600 metri cubi di limo sparso sui campi della società Terreni alla Maggia di Ascona tra il 2013 e il 2018, «il procuratore stesso sostiene che non se ne conosce la composizione esatta», ha argomentato ancora Bertoli riferendosi a quanto riportato nel decreto d’accusa impugnato. Il suo assistito, ha incalzato il legale, non sapeva nemmeno come venisse impiegato quel limo: era materiale di scavo non inquinato che consegnava alla ditta di trasporti, la quale provvedeva a sua volta a consegnarlo alla Società Terreni alla Maggia. «Ditta di trasporti il cui titolare non è mai stato né proprietario né rivenditore di quel limo», ha sostenuto l’avvocato Diego Olgiati chiedendo che il suo assistito venga prosciolto dall’imputazione di infrazione alla Legge federale sulla protezione della natura. «Il mio cliente si è limitato a trasportare il limo da Losone ad Ascona. Non toccava certo a lui effettuarne l’omologazione», ha aggiunto Olgiati riferendosi a quanto riportato nel decreto d’accusa è cioè che quel limo, seppur di composizione non nota, era in ogni caso privo della necessaria omologazione federale riguardanti i concimi. «Quel limo non era utilizzato quale concime, ma per migliorare le qualità morfologiche dei terreni agricoli, in particolare per renderli più permeabili all’acqua. E per di più, come conclude la perizia che abbiamo commissionato ad uno dei maggiori esperti del ramo in Ticino, aveva le stesse caratteristiche chimiche e fisiche di quelle dei terreni sui quali è stato sparso. Terreni coltivati da un’azienda guidata da validi ingegneri agronomi» ha concluso l’avvocato Olgiati, rilevando come «il pressapochismo con cui è stata svolta l’indagine è figlio della pressione mediatica». I casi del presunto inquinamento del fiume Melezza e dello spargimento del limo sui campi di Ascona erano infatti balzati agli onori delle cronache in seguito ad un video pubblicato su Youtube dalla scuola di giornalismo di Bellinzona e ad un servizio de «L’inchiesta».
La sentenza verrà pronunciata venerdì mattina.