Quello che i robot fanno meglio di noi

MANNO - L'informatica è talmente presente nella nostra quotidianità che ci sembra esista da sempre. Invece sono passati non più di settant'anni da quando ha cominciato a svilupparsi (lo stesso termine «informatica», inteso come «scienza che si occupa del trattamento dell'informazione mediante procedure automatizzabili» fu coniato nel 1957) e ancor meno da quando ha iniziato a diventare una materia accademica. Nella Svizzera italiana era il 1986 quando nell'allora Scuola tecnica superiore (STS) prese il via il primo «Corso di laurea in Ingegneria informatica»: un percorso formativo poi divenuto uno dei pilastri dell'odierna SUPSI. Nell'ambito delle celebrazioni per i trent'anni di questo corso, quest'oggi alle 18.15, nell'Aula magna del Campus Trevano di Canobbio è in programma una conferenza del celebre matematico, logico e saggista Piergiorgio Odifreddi sul tema «Visioni letterarie e miraggi informatici» dedicato alla robotica e al sogno, da sempre coltivato dall'uomo, di costruire macchine capaci di simulare la sua attività fisica e intellettiva. Un sogno che, negli ultimi anni, si è trasformato in realtà, come ci conferma lo studioso italiano.Professor Odifreddi, a che punto siamo con il sogno di costruire macchine che assomigliano il più possibile all'uomo?
«Si tratta di un sogno che l'uomo ha dagli albori e che è suddiviso in due: da un lato simulare attraverso le macchine il corpo dell'uomo e/o degli animali (e di ciò abbiamo testimonianze sin dall'antichità, dalla costruzione di automi di cui già parlava Omero, al mito di Icaro che cercò di simulare il volo degli uccelli con delle ali posticce, eccetera). Dall'altro riprodurre i pensieri, la mente umana. Di questi due sogni, da sempre, si pensava che il primo fosse molto più semplice da realizzare: l'idea mutuata da Cartesio era infatti che gli animali sono macchine e che, visto che il nostro corpo è come quello degli animali, sarebbe stato semplice meccanizzarlo. Al contrario dei pensieri e della mente che, anche in tempi recenti, quando iniziarono le ricerche sull'intelligenza artificiale, si pensava fossero impossibili da emulare. Tanto che furono molti a ridere delle affermazioni degli scienziati che nella famosa Conferenza di Dartmouth, nel 1956, sostenevano che nel giro di dieci anni le macchine sarebbero state capaci di giocare a scacchi meglio degli uomini e di dimostrare nuovi teoremi matematici. La matematica e gli scacchi, infatti, erano considerate il più alto livello dell'intelligenza umana che le macchine – si diceva – non sarebbero mai riuscite a raggiungere. Beh, è accaduto invece esattamente il contrario. Negli scacchi, ad un certo punto, il campione del mondo Kasparov è stato ripetutamente battuto dal famoso computer Deep Blue e anche in ambito matematico le macchine sono riuscite a risolvere problemi e a dimostrare teoremi come l'uomo non era mai riuscito a fare in precedenza. Dimostrando quindi che matematica e scacchi (le supposte vette dell'intelligenza umana) sono in realtà raggiungibili dalle macchine.Per contro nella robotica, ovvero nella costruzione di macchine che simulano il corpo e le attività corporali, ci si è accorti che la faccenda è molto più complessa. Per esempio le macchine non sono capaci di fare quello che in inglese viene definito "pattern recognition", ovvero quel riconoscimento di forme che qualsiasi animale (cane, gatto o quant'altro) fa naturalmente, senza problemi. In pratica ci si è resi conto che è molto più difficile simulare il corpo che non la mente. E questo ci pone in una situazione un po' seccante. Quello che noi credevamo essere così caratteristico dell'uomo, nella realtà le macchine lo fanno benissimo e meglio di noi. Invece quello che credevamo essere facile e di secondo grado, le macchine non riescono invece a farlo».
L'intervista completa e gli approfondimenti a pagina 4 e 5 del CdT di oggi.
