La ricostruzione dell'Ucraina

«Ripartiamo dai bambini»

L'organizzazione per la tutela dell'infanzia Terre des Hommes ha presentato ieri le sue proposte in vista della Conferenza di Lugano
© TDH/Ramin Mazur

Quando si parla di ricostruzione, siamo tutti portati a pensare alle strade, alle case o ai ponti. Ma ciò che serve è, soprattutto, «ricomporre i frammenti delle vite» distrutte dalla guerra, «restituire speranza alle future generazioni». Ricostruire, insomma, con le cose, anche le persone. In particolare, le più deboli: i bambini, ad esempio. E le loro mamme.

Terre des Hommes, la principale organizzazione svizzera per la protezione dell’infanzia, è tra i partecipanti della conferenza di Lugano, appuntamento nel quale porterà e farà sentire la voce dei più piccoli. Le prime vittime di ogni insensato furore.

«Abbiamo una grande responsabilità: dare una prospettiva di vita migliore a milioni di bambini, oggi in fuga dall’orrore della guerra - ha detto ieri, in una conferenza stampa convocata a Villa Negroni, a Vezia, Claudio Rini, direttore operativo di Terre des hommes - Dopo l’invasione russa c’è stata una gigantesca mobilitazione della società civile. Bisogna continuare in questa direzione, investendo risorse per rispondere ai bisogni immediati di mamme e bimbi. C’è un anno scolastico che inizia tra poche settimane, centri di accoglienza inadatti al loro scopo e da cambiare. È importante per queste famiglie sapere che cosa succederà, non possiamo lasciare il peso di questa ricostruzione soltanto sulle loro spalle».

Nel Paese dal 2005

Terre des hommes, ha ricordato Rini, lavora in Ucraina dal 2005: prima attraverso alcuni partner, poi, dal 2015, con i propri operatori e una «forte presenza sul campo». Quando i carri armati russi hanno sfondato i confini dell’Ucraina, la risposta immediata dell’organizzazione elvetica è stata duplice: mettere in sicurezza i propri operatori e, subito dopo, riattivare dovunque fosse possibile - sul territorio invaso così come in quello libero, o nei Paesi limitrofi - il sostegno diretto ai bambini e alle loro famiglie. «Sei milioni di persone si sono lasciate la vita alle spalle in pochi giorni, le scuole sono state trasformate in rifugi, le madri sono state separate dai mariti - ha detto ancora Rini - e nessuno è in grado di dire che cosa succederà. Ecco perché insistiamo nel nostro messaggio, che porteremo alla conferenza di Lugano: dobbiamo affrontare il disagio, lo smarrimento, la paura: se non lo facciamo, il lodevole slancio di solidarietà giunto da tutta Europa rischierà di cadere a lato dei bisogni della popolazione». Sarà stato, insomma, tutto inutile.

Un mese nel bunker

Nella conferenza stampa di ieri hanno raccontato la loro storia anche alcune operatrici ucraine di Terre des hommes. Le parole e i volti di chi, all’alba del 14 febbraio, ha dovuto fare i conti con la guerra fuori dalla porta di casa, sono state - ancora una volta - la via più semplice e autentica, vera, per comprendere la realtà.

Yana Smelianka oggi ha ripreso il suo lavoro in un centro di assistenza in Moldavia, ma per due settimane, dopo l’attacco di Mosca, ha vissuto con la figlia in un bunker a Kharkiv. Già nel 2014 aveva dovuto ricostruire la sua vita fuggendo da Luhansk. «Mia figlia soffre d’asma, non poteva respirare sottoterra. Alla fine siamo scappate, nonostante il pericolo». Yana lavora a stretto contatto con i piccoli, e viene spontaneo chiedersi come si possa spiegare loro la guerra, come si possa rispondere alle domande sul perché sta succedendo tutto questo. «Non fanno più certe domande - dice - non sono stupidi. Sanno distinguere in maniera molto chiara il bene dal male. Lo percepiscono, il male.

E poi, ascoltando la televisione o le discussioni degli adulti, vivono tutto in prima persona. Chiedono piuttosto quando potranno tornare a casa». «E poi si preoccupano per i loro amici rimasti in Ucraina, li chiamano tutti i giorni», aggiunge Arina Cretu, anch’essa attiva nel centro per rifugiati in Moldavia. «Alcuni sono anche riusciti a seguire online le lezioni dei maestri rimasti in Ucraina. Lezioni che andavano avanti nonostante i bombardamenti. E a dispetto delle “pause” necessarie, di tanto in tanto, per scendere nei bunker-rifugio».

Entrare nella testa dei bambini è complicato. Così come aiutarli a non pensare negativo . «Il nostro obiettivo - dice Yana - è togliere loro tutto lo stress di questa situazione e lenire i traumi che hanno subito». Traumi a volte invisibili, nascosti dietro un comportamento apparentemente normale. «Ricordo un nostro piccolo ospite del centro che stava seduto a disegnare. A prima vista, sembrava tranquillo, felice. Quando un mio collega gli ha chiesto ‘da dove vieni?’, ha iniziato a raccontare senza sosta quello che aveva vissuto nella sua città, Nikolaev: il suono delle sirene, la discesa nei rifugi sotterranei, la mamma che usciva di corsa per andare a cercare qualcosa da mangiare. Spiegava tutto nei dettagli, non smetteva un attimo di parlare». È questo lo “stress” a cui si riferisce Yana. Qualcosa di molto lontano dal significato che noi, di solito, attribuiamo a questa parola.

Il passo successivo è tentare di ridare ai più piccoli una sorta di normalità, «qualcosa che li porti fuori da quell’incubo diventato a sua volta normalità». Ma è davvero possibile? E che segni lascerà la guerra sullo sviluppo di questi bimbi, sul loro futuro?

«Li ha fatti maturare molto in fretta. Non torneranno più a essere quelli di prima, ma il nostro lavoro è puntare sui loro lati positivi, aiutarli a convivere con il ricordo», dice Rehina Chulinina, un’altra delle operatrici di Terre des hommes presenti ieri a Vezia.

Proprio Rehina, fuggita a piedi da Mariupol dopo essere rimasta quasi un mese sottoterra senza luce né acqua, insiste su un punto: bisognerà evitare che prevalga l’odio. Uno stato d’animo comprensibile, ma che bisogna comunque contrastare. Questi bamini sono gli adulti di domani. E la risposta delle tre collaboratrici di Terre des hommes è la stessa: ci vorrà tempo per andare oltre questa rabbia. Sarà difficile, ma necessario. E un ruolo importante, determinante, lo avranno i genitori, i quali andranno a loro volta aiutati.  

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