Settant'anni fa l'operazione Sunrise

Nell'aprile del 1945 la resa delle forze tedesche in Nord Italia, frutto di febbrili trattative in Ticino mediate dai servizi svizzeri
John Robbiani
Gianni ReieJohn Robbiani
24.06.2015 09:40

Proprio oggi, a margine dell'inaugurazione della parte privata del Palace, verrà scoperta una targa commemorativa – fortemente voluta da Alfredo Ardizzi, che da una vita si dedica all'argomento – per ricordare l'Operazione Sunrise. Settant'anni fa infatti il Ticino fu il teatro di incontri segreti tra tedeschi e alleati per la resa della Wehrmacht in Nord Italia. Trattative coordinate dal maggiore svizzero Max Waibel che, oltre a salvare migliaia di vite, risparmiarono alla vicina Penisola la completa distruzione del sistema industriale direttamente minacciato dall'ordine di Hitler di fare «terra bruciata».«Insieme con i miei amici, io ho fatto del mio meglio per far cessare la guerra il più presto possibile. Pienamente consapevoli della nostra grande responsabilità, abbiamo lottato intensamente giorno e notte, con mente fredda e cuore ardente, per raggiungere lo scopo. Nessuna fatica, nessun rischio ci è pesato troppo; in un succedersi di grandi speranze e delusioni la nostra fede è sempre rimasta intatta fino all'ultimo». Sono le parole con cui il maggiore Max Waibel, chiude il suo libro «1945, Capitolazione nel Nord Italia» (Edizioni Trilingue, Porza).

Era il 3 marzo del 1945. La Germania si trovava sotto attacco su tre fronti. A Ovest gli alleati erano sbarcati in Normandia, a Est l'Armata Rossa si avvicinava a Berlino e da Sud gli angloamericani, dopo aver liberato metà del territorio italiano, premevano sulla linea Gotica. In Nord Italia i tedeschi, pur con pochi mezzi, avevano ancora 800.000 uomini in armi, senza contare l'esercito di Mussolini. L'ordine di Hitler era chiaro: «Non arretrare e fare terra bruciata di tutte le fabbriche italiane». È in questo contesto che, in una sala del Gran Café al Porto di Lugano – all'epoca Ristorante Biaggi – si trovano due ufficiali delle SS (Eugen Dollmann e Guido Zimmer), il barone italiano Luigi Parrilli, un agente dei servizi segreti americani (Paul Blum) e due svizzeri: il maggiore Max Waibel e il dottor Max Husmann. Per la prima volta tedeschi e alleati parlano – seppure in segreto – di chiudere il conflitto. Inizia così l'Operazione Sunrise («Alba») o Crossword. Di fronte all'inevitabile sconfitta, nel dicembre 1944, il colonnello Dollmann decide (ufficialmente di sua iniziativa, ma forse dietro ordine di Heinrich Himmler) di avviare trattative separate con gli angloamericani e contatta l'intelligence elvetica tramite Parrilli.

L'ufficialità

È a questo punto che entra in scena il generale delle SS Karl Wolff, plenipotenziario militare in Italia che, dopo una riunione il 28 febbraio con Rudolf Rahn (ambasciatore del Reich a Salò), il tenente Guido Zimmer (capo della sezione spionaggio delle SS) e il generale Wilhelm Harster (capo della polizia segreta tedesca in Italia), si dice disponibile a trovare un accordo (all'insaputa di Mussolini) prima della «tragedia finale» e a cessare ogni resistenza in Nord Italia a patto di riuscire a ritirare le armate a Bolzano. Wolff decide di inviare in Svizzera Dollmann e Zimmer nel già citato incontro luganese con Parrilli e Blum.

Si chiedono più garanzie

L'americano chiede agli interlocutori, come prova di buona fede, la liberazione di due importanti prigionieri: Ferruccio Parri, vicecomandante del Comando generale dei Volontari per la Libertà, e Antonio Usmiani, ufficiale di collegamento del Regno del Sud. Wolff, pur di riuscire a concludere in fretta, acconsente e l'8 marzo consegna i prigionieri agli svizzeri. Poi si reca in segreto a Zurigo con Dollmann e Parrilli, dove trova il responsabile dei servizi USA in Europa Allen Dulles e il suo aiutante Gero von Schulze-Gaevernitz. Le richieste germaniche sembrano incontrare il favore degli alleati, sebbene con l'aggiunta di precise garanzie. In proposito lo stesso Waibel nel suo libro ricorda il rifiuto degli americani di anche solo discutere con i tedeschi una pace separata dai russi.

Hitler intuisce qualcosa

Le cose però si complicano. Hitler intuisce l'avvio di trattative e convoca d'urgenza Wolff a Berlino. Il generale si giustifica spiegando di agire per dividere gli alleati. Questo gli salva la vita. Nel contempo però l'avvicendamento alla testa del Gruppo Armate C in Italia del feldmaresciallo Albert Kesselring con il generale Heinrich von Vietinghoff mescola ulterioremente le carte. Wolff da solo non ha infatti abbastanza uomini per garantire la resa. Von Vietinghoff però, una volta a conoscenza del piano, fuga ogni timore e aderisce alla trattativa, che riprende. Il 19 marzo i rappresentanti alleati guidati dal generale statunitense Lyman Lemnitzer e dal britannico Terence Airey, si incontrano con i tedeschi ad Ascona, dove vengono messe a punto le modalità del cessate il fuoco. Rientrando in Italia Wolff viene però accerchiato dai partigiani. La situazione precipita e l'intera operazione rischia di naufragare. Waibel lo capisce e organizza con successo una spedizione armata – cui farà parte anche un agente ticinese – per liberare il generale a Cernobbio. Il resto è storia: il 20 aprile 1945 von Vietinghoff ordina alla Wehrmacht il ripiegamento verso l'Alto Adige mentre le forze della Repubblica Sociale cercano di ritirarsi in Valtellina (fuga che terminerà con la fucilazione di Mussolini). Il 29 viene firmata la resa a Caserta e il 2 maggio si arriva alla cessazione delle ostilità. In quel pugno di giorni il ruolo degli intermediari elvetici risultò fondamentale per limare e appianare le divergenze, convincere chi ancora – da una parte o dall'altra – tentennava, voleva chiedere di più o concedere di meno. Soprattutto chi, sentendosi braccato e fors'anche terrorizzato dal dover rispondere davanti ad un tribunale alleato, non escludeva di dover giocare il tutto per tutto per salvare la faccia e non solo quella. Secondo Waibel sarebbe stato possibile far cessare la guerra in Italia 5-7 giorni prima se gli alleati non avessero tergiversato. «Il 23 aprile, quando i plenipotenziari tedeschi arrivarono in Svizzera per presentare la resa gli alleati stavano ancora a sud del Po; quanto sangue e quante distruzioni si sarebbero potute evitare se non avessero più dovuto sferrare l'attacco a nord del fiume!». Ma c'è di più. «Se il 23 aprile noi svizzeri non avessimo trattenuto i parlamentari tedeschi di nostra iniziativa, la capitolazione sarebbe avvenuta solo molti giorni dopo. A giudizio di esperti, la resa in Italia ha abbreviato la guerra in Europa di 6-8 settimane (il terzo Reich crollerà il 7 maggio, n.d.r.). Sapere questo significa per tutti noi che abbiamo contribuito a un tale avvenimento storico, il miglior ringraziamento, la miglior ricompensa per tutte le fatiche, per tutti i rischi che spontaneamente ci siamo assunti quando ci siamo sentiti obbligati, come uomini, ad accorrere in aiuto là dove ci ordinava la coscienza».«In quei giorni – ricorda Waibel – ho capito che è molto più facile iniziare una guerra che concluderla».