Svizzera, resilienza economica con radici lunghe e conferme

È ragguardevole la resilienza economica mostrata dalla Svizzera nel corso degli anni. Il Paese, nonostante le sue non grandi dimensioni, ha un’economia molto diversificata tra industria, finanza, commerci. Proprio questa ampia diversificazione è uno tra i fattori che hanno consentito alla Svizzera di difendersi bene. La Confederazione ha anche un buon grado di apertura economica e questo è un altro tra i fattori che le hanno permesso di accrescere la solidità; resta vero che in Svizzera circa un franco su due viene guadagnato grazie agli scambi con l’estero. Se da un lato l’economia elvetica inevitabilmente risente delle oscillazioni temporanee legate al quadro internazionale, dall’altro il suo import-export rimane un punto di forza nel lungo periodo.

Il percorso fatto
La tenuta dell’economia svizzera in questi anni poggia dunque su basi che hanno radici lunghe e che peraltro riguardano anche il buon funzionamento complessivo del sistema Paese e il rigore nella gestione dei conti pubblici. L’insieme dei fattori dà la solidità. Per la crescita economica non si possono chiedere impennate alla Svizzera, sia perché il Paese ha da tempo raggiunto livelli nel complesso già alti di PIL, reddito, occupazione, sia perché la caratteristica dell’economia elvetica è appunto quella della solidità, che da una parte comporta in genere rialzi contenuti ma che dall’altra consente di contenere le flessioni. Richiedere grandi guizzi o decolli è dunque fuori luogo, tanto più in fasi di rallentamento internazionale. Occorre invece apprezzare la tenuta economica di fondo.
Una fotografia di questa tenuta emerge dai dati pubblicati in aprile dal Fondo monetario internazionale (FMI). Interessante è vedere come si colloca la Svizzera nell’ambito delle economie avanzate. Con tutto il rispetto, il confronto con le economie emergenti non è altrettanto interessante, perché quest’ultime hanno dinamiche molto diverse. Nel periodo 2006-2015 la media della crescita annua della Svizzera è stata del 2%, quella degli Stati Uniti dell’1,6%, quella del Regno Unito dell’1,2%, quella dell’Eurozona dello 0,8%. Come si vede, il passo lento ma sicuro può riservare sorprese, con la Svizzera che ha battuto anche gli USA in quel periodo. Tra il 2016 e il 2023, poi, la Confederazione ha avuto una crescita superiore alla media delle economie avanzate in quattro anni su otto.
Le previsioni
Ma accendiamo i riflettori direttamente sugli ultimi due anni e sulle previsioni per quest’anno. La Svizzera secondo l’FMI è cresciuta del 2,7% nel 2022 e dello 0,8% nel 2023, dovrebbe inoltre crescere dell’1,3% nel 2024. Gli Stati Uniti, che negli ultimi anni hanno ripreso velocità, non hanno peraltro fatto meglio nel 2022 (1,9%) e hanno invece numeri migliori per il 2023 (2,5%) e per il 2024 (2,7%). L’Eurozona ha fatto meglio due anni fa (3,4%) ma non è andata meglio della Svizzera l’anno scorso (0,4%) e probabilmente non sarà sopra nemmeno quest’anno (0,8%). Situazione analoga per il Regno Unito, che è andato meglio nel 2022 (4,3%) ma non nel 2023 (0,1%); per il 2024 la previsione per la crescita britannica è 0,5%, percentuale inferiore a quella elvetica. Il raffronto con alcune delle principali aree economiche conferma che la Svizzera ancora una volta si sta difendendo nel complesso bene.
E veniamo agli ultimi dati, relativi al primo trimestre 2024, pubblicati nei giorni scorsi dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO). Si tratta appunto di dati trimestrali e come tali utili ma non significativi come quelli annuali. Di trimestre in trimestre ci possono essere oscillazioni, quello che conta è il saldo di fine anno. Ancor più, poi, come detto conta la tendenza di lungo periodo. Comunque, il Prodotto interno lordo svizzero nei primi tre mesi è aumentato dello 0,3% sul trimestre precedente e dello 0,4% rispetto a un anno prima (valori corretti dagli eventi sportivi). Sono cifre che lasciano aperta la strada alle previsioni di marzo della pur cauta SECO, che ha indicato una possibile crescita annua nel 2024 dell’1,1% o dell’1,5% (quest’ultima al lordo degli eventi sportivi).
Trimestre apprezzabile
Nel primo trimestre di quest’anno la crescita è stata moderata ma la tenuta è stata confermata. E c’è stata anche la conferma che una recessione non è in vista. C’è stata una flessione per l’industria manifatturiera, sì, ma il settore dei servizi nel suo complesso ha continuato a crescere e i consumi delle famiglie hanno registrato un aumento (anche questo un buon segnale). In alcune fasi va meglio l’industria, in altre vanno invece meglio i servizi, un’ampia diversificazione delle attività serve anche a questo: il rischio che tutto non marci bene nella stessa fase è ridotto di molto.
Il franco ore è forte, ma non troppo
Il franco svizzero resta forte, ma non è più ai massimi. La valuta elvetica ha oscillato negli ultimi giorni tra 0,97 e 0,98 sull’euro e tra 0,90 e 0,91 sul dollaro USA. Se si guarda alle variazioni dell’ultimo anno si può vedere come la moneta unica europea abbia toccato un minimo di fase a 0,92 franchi e come la valuta americana abbia avuto il suo minimo di fase a 0,83 franchi. Viste dal lato del franco, queste ultime cifre sono i massimi di fase toccati. Ma ora appunto la valuta svizzera non è più a quei livelli, avendo ceduto un po’ di terreno negli ultimi mesi.
L'equilibrio
Le due parti della frase iniziale sono entrambe buone notizie per la Svizzera. Il franco resta forte e questo è un bene per la lotta all’inflazione, una valuta robusta infatti consente di non importare rincaro. Il franco ora non è però ai massimi e questo anche è un bene, perché c’è qualche ostacolo in meno per l’export, voce importante per l’economia elvetica. Ma cosa ha permesso di arrivare a questo nuovo equilibrio nell’arco di alcuni mesi? Gli elementi principali sono due.
Da un lato è apparso sempre più chiaro che il rallentamento economico non si sarebbe trasformato in recessione internazionale e che il trend per l’inflazione sarebbe stato di discesa, al di là di alcuni temporanei rimbalzi; ciò ha fatto diminuire le incertezze sul piano economico, permettendo di contrastare le ancora alte incertezze geopolitiche e dunque anche di contenere l’interesse degli investitori verso il franco. Dall’altro lato sono cresciute le attese su un primo taglio del tasso di interesse guida da parte della Banca nazionale svizzera (BNS), taglio che è in effetti giunto in marzo; con un tasso più basso, è stato ancor più naturale per il franco cedere un po’ di valore.
La BNS è stata così la prima tra le maggiori banche centrali a ridurre il tasso guida, dopo la fase dei rialzi del costo del denaro in funzione anti inflazione. Ricordiamo che la BNS non era stata invece la prima ad alzare il tasso guida, il primo passo di questo tipo è stato infatti attuato dall’istituto elvetico nel giugno 2022, dopo che la Banca d’Inghilterra e la Federal Reserve americana già avevano varato i loro primi aumenti, rispettivamente nel dicembre 2021 e nel marzo 2022. La BNS ha peraltro preceduto la Banca centrale europea (BCE), che ha attuato il suo primo aumento nel luglio 2022.
Mentre ancora si attendono i tagli ai tassi da parte delle altre principali banche centrali (la BCE dirà qualcosa questa settimana), la BNS si è dunque già aperta la strada verso altre diminuzioni del tasso di riferimento. L’inflazione elvetica è scesa ed è tra le più basse nel raffronto internazionale, ciò permette alla BNS di allentare la stretta sul costo del denaro. Bisognerà vedere quando e come la BNS attuerà altri tagli ai tassi, dipenderà dall’evolversi della crescita economica e dell’inflazione. La direzione di marcia però sembra tracciata e la prospettiva di probabili altri tagli al tasso guida fornisce ossigeno alla ripresa svizzera.
Questa settimana verranno resi noti i dati sull’inflazione svizzera in maggio, intanto occorre ricordare che in aprile il rincaro elvetico su base annua è stato dell’1,4%. Nello stesso mese l’inflazione, sempre su base annua, nel Regno Unito è stata del 2,3% e negli Stati Uniti è stata del 3,4%. L’Eurozona dal canto suo ha già reso nota una prima stima dell’inflazione dell’area in maggio, pari al 2,6%.