L'intervista

«Gli aiuti diretti alle acciaierie? Un pericoloso vaso di Pandora»

Il direttore di Swissmem Stefan Brupbacher esprime dubbi e critiche sull'opportunità che la Confederazione sostenga il settore siderurgico con misure mirate
La Stahl Gerlafingen, nel cantone di Soletta, è il più grande produttore di acciaio riciclato in Svizzera. ©CHRISTIAN BEUTLER
Francesco Pellegrinelli
22.11.2024 06:00

Perdita di posti di lavoro, licenziamenti, chiusure di linee produttive se non di interi stabilimenti. L’industria siderurgica svizzera sta affrontando un momento estremamente complesso. Nelle scorse settimane, le principali aziende del settore, confrontate con problemi congiunturali e di protezionismo, hanno annunciato ampie misure di ristrutturazione. Intanto, la discussione politica si è concentrata sull’opportunità (o meno) di un intervento diretto da parte della Confederazione. Ne abbiamo parlato con Stefan Brupbacher, direttore di Swissmem, l’associazione di categoria delle grandi aziende dell’industria tecnologica.

Contrariamente ad altri Paesi che sovvenzionano le loro acciaierie, il Consiglio federale ha dichiarato (ancora recentemente) di non essere disposto a sostenere il settore siderurgico con misure puntuali. In compenso, la Confederazione è pronta a dare un sostegno con condizioni quadro e programmi favorevoli all’economia. Che cosa ne pensa di questa posizione?
«La Svizzera è un’economia piccola e aperta. Non possiamo quindi frenare i cambiamenti strutturali in corso. Inoltre, l’efficacia della politica economica è limitata dall’elevato livello di integrazione globale della nostra economia. In questo senso, la riluttanza del Consiglio federale a intervenire direttamente nell’economia è comprensibile e ragionevole».

Swissmem ha sempre difeso la necessità di offrire condizioni quadro ottimali per tutti, piuttosto che aiuti mirati. È ancora di questa opinione, quindi?
«Sì. La Svizzera adotta un approccio diverso rispetto a molti altri Paesi che cercano di mantenere la competitività delle loro aziende attraverso politiche industriali e sovvenzioni. I risultati di tali politiche, però, sono spesso devastanti e deludenti. Di contro, nonostante un costo della vita e dei salari molto elevati, la Svizzera ha una quota industriale del 20% del PIL. In Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti questa percentuale è significativamente più bassa, mentre in Germania è solo leggermente superiore a quella svizzera».

Quindi?
«La nostra politica - basata su condizioni favorevoli per tutte le aziende piuttosto che su elevate sovvenzioni per poche - è vincente. Lo dicono i numeri. Non solo abbiamo una crescita superiore a quella di molti altri Paesi dell’UE, ma tale crescita non è stata ottenuta a costo di un elevato indebitamento pubblico».

Il consigliere federale Guy Parmelin ritiene che il settore siderurgico non sia di rilevanza sistemica. È d’accordo?
«Sì. Un’azienda è considerata sistemicamente rilevante quando il suo fallimento comporterebbe il collasso dell’intera economia nazionale. Questo vale solo per un numero limitato di banche, ma non per le altre aziende. Proprio a causa di tale rischio per l’economia, le imprese sistemicamente rilevanti sono soggette a una regolamentazione molto più rigorosa. Pertanto, non è nell’interesse di un’azienda essere percepita come sistemicamente rilevante».

Quali sono a suo avviso le cause principali della “crisi dell’acciaio” in Svizzera? Ci sono rami affini che stanno soffrendo per le medesime ragioni?
«Le aziende svizzere, che sono ad alta intensità energetica e operano in un contesto di concorrenza internazionale, affrontano una forte pressione economica per quattro motivi principali. Uno. Quando lo scorso anno i prezzi dell’energia sono saliti alle stelle, molti Paesi – in particolare Germania, Francia e Italia – hanno sostenuto le loro acciaierie, creando vantaggi competitivi per queste ultime. Due. UE e Stati Uniti hanno protetto i loro mercati siderurgici con misure di salvaguardia, impedendo alle aziende svizzere di fornire prodotti in determinati segmenti. Tre. La forza del franco svizzero negli ultimi anni ha ulteriormente compromesso la competitività delle nostre aziende in termini di prezzo. Quattro. Molti settori che lavorano l’acciaio stanno attualmente rallentando. La congiuntura globale è caratterizzata da una sovraccapacità del mercato dell’acciaio».

Quanto pesa, in questa crisi, il rallentamento dell’economia tedesca?
«L'industria automobilistica tedesca si trova attualmente in una crisi profonda, e ciò ha portato a un forte calo della domanda di acciaio. Questo colpisce in particolare lo stabilimento Swiss Steel di Emmenbrücke».

Ritiene che il futuro del settore in Svizzera sia realmente minacciato?
«Le acciaierie svizzere si trovano in una situazione molto difficile. Speriamo che le misure adottate dalle singole aziende siano sufficienti a garantire la loro sopravvivenza. Un miglioramento rapido delle condizioni quadro rappresenterebbe un segnale di supporto importante».

Pur non avendo una rilevanza sistemica, che ruolo occupa il settore nell’economia svizzera?
«Nell’ambito dell’economia circolare, le acciaierie svizzere svolgono un ruolo cruciale: sono grandi impianti di riciclaggio: trasformano rottami di acciaio in nuovi prodotti siderurgici, emettendo relativamente poca CO2. Uno degli stabilimenti, Stahl Gerlafingen, fornisce acciaio da costruzione al settore edile svizzero, mentre l’altro, Swiss Steel, è un importante fornitore per l’industria automobilistica. In qualità di associazione industriale, Swissmem è in stretto contatto con le acciaierie».

Che cosa ne pensa, invece, della proposta approvata dalla Commissione dell’energia del Consiglio nazionale di tagliare i costi delle tariffe per l’utilizzo della rete elettrica a favore delle aziende siderurgiche?

«Nella seduta di martedì, la Commissione ha preso diverse decisioni che meritano di essere distinte. Iniziamo dalla prima. La Commissione ha deciso di esonerare parzialmente alcune aziende siderurgiche e della produzione di alluminio dai costi di utilizzo della rete, ma a condizioni rigorose (per esempio, le aziende devono garantire il mantenimento del loro sito produttivo in Svizzera, così come astenersi dal versare dividendi, ndr). Tuttavia, i costi non pagati da queste poche aziende dovrebbero essere sostenuti dagli altri consumatori, attraverso una ridistribuzione degli oneri. Ciò peserebbe in particolare su tutte le altre aziende industriali, motivo per cui Swissmem, che rappresenta 1.400 imprese industriali, è critica nei confronti di questa proposta».

Una soluzione simile è stata adottata a livello europeo, con quali effetti?
«Il fatto che in Svizzera si discuta di soluzioni di politica industriale ha origine nelle massicce distorsioni create nei Paesi europei. Tuttavia, queste politiche non hanno portato risultati positivi. In Germania, ad esempio, l’industria ad alta intensità energetica si trova sottoposta a una tale pressione da spingere alcune aziende a delocalizzare. Inoltre, l’UE considera questo sostegno come un aiuto non autorizzato e, pertanto, non reggerà nel tempo».

La seconda decisione della Commissione, invece, che cosa prevede?
«La seconda decisione è più tecnica e riguarda le riserve di consumo. Tale decisione, sostenuta da Swissmem, è volta a ridurre la sovrattassa sulla riserva di energia e ad alleggerire il peso sui grandi consumatori. Le aziende che si rendono disponibili a ridurre i consumi in situazioni critiche saranno compensate. Inoltre, le aziende con un’incidenza dei costi energetici superiore al 20% del valore aggiunto lordo potranno essere esentate dai costi della riserva, a determinate condizioni. Questo principio è corretto, ma riteniamo che la soglia del 20% sia troppo alta e dovrebbe essere ridotta al massimo al 10%, come già previsto per l’esenzione dalla sovrattassa di 2,3 cts/kWh».

Una minoranza della Commissione dell’economia degli Stati ha messo in guardia sulla possibilità che si crei un precedente. «Anche altre imprese di altri rami industriali - ad esempio i cementifici o le segherie - potrebbero chiedere alla Confederazione provvedimenti simili». Intravede questo rischio?
«Sì, questo è il classico effetto “vaso di Pandora”, che in realtà è già stato aperto con il Covid e il salvataggio di Credit Suisse. Ogni settore potrà presentare buoni argomenti per richiedere sostegni statali. Sarebbe insostenibile economicamente».

Insomma, si può uscire da questa crisi senza passare dagli aiuti statali?
«Sì. La Svizzera ha dimostrato che è possibile. Grazie a una politica basata su buone condizioni quadro, a beneficio di tutte le aziende, è stato possibile gestire il cambiamento strutturale in modo socialmente sostenibile. Nel corso dei decenni, l’occupazione nell’industria tecnologica si è stabilizzata tra 325.000 e 330.000 dipendenti, con un aumento del valore aggiunto. A differenza di altri Paesi europei, la deindustrializzazione non ha avuto luogo proprio perché è stato reso possibile questo cambiamento strutturale».

In primavera, Stahl Gerlafingen, nel canton Soletta, ha comunicato il licenziamento di 68 dipendenti e la chiusura di una linea di produzione. Nei mesi successivi, la situazione è peggiorata. A ottobre i vertici dell’azienda hanno quindi annunciato il licenziamento di altre 120 persone. La misura, però, mercoledì scorso, è stata sospesa. Per una parte del personale è stato introdotto i lavoro ridotto, come richiesto da sindacati e lavoratori. I quali hanno salutato la decisione come una «vittoria importante». Il 9 novembre un migliaio di persone aveva manifestato davanti all’acciaieria chiedendo misure immediate per salvare l’impianto. Oltre 15 mila firme sono state consegnate da una delegazione al Governo. Ma la Stahl Gerlafingen non è l’unica acciaieria in difficoltà. Venerdì scorso, la multinazionale Swiss Steel di Emmenbrücke, con sede nel canton Lucerna, ha comunicato la riorganizzazione del Gruppo a livello europeo. Il piano prevede la soppressione di 800 posti di lavoro, di cui 130 in Svizzera. I licenziamenti previsti nello stabilimento lucernese sono 80. Intanto, la questione è arrivata sui banchi del Parlamento, che nella prossima sessione dovrà esprimersi sulle proposte di sostegno decise in Commissione.
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