"La mia esperienza sull'F/A-18"

Il nostro collega Bruno Pellandini, pilota e istruttore di volo, è stato tra i pochi giornalisti che ha avuto la possibilità di partecipare ad una missione di intercettazione di combattimento simulato a bordo di un F/A-18, su un velivolo identico a quello precipitato mercoledì nel Canton Obvaldo. Ecco qui di seguito il racconto integrale di Pellandini, su quell?esperienza che risale a qualche anno fa.
PAYERNE - «È pronto per partecipare ad una missione di combattimento aereo a bordo di un F/A-18 Hornet? L'aspettiamo all'aeroporto di Payeme, giovedì 15 febbraio alle 8.30»: la voce del maggiore SMG Claude Meier, comandante della squadriglia 17, mi annuncia che il grande giorno è finalmente arrivato. Lo aspettavo dal 5 dicembre scorso, dopo la visita medica all'Istituto di medicina aeronautica di Dübendorf: un passaggio obbligato per i pochi civili che, grazie alla disponibilità del comando delle Forze aeree, possono volare su un jet militare. Giovedì 15 febbraio, alle 8.30 precise, Didier Vallon, del servizio informazioni delle Forze aeree e il capitano Melchior Schürmann, pilota istruttore di F/A-18 mi aspettano all'aerodromo di Payerne dove sono basate due delle tre squadriglie di F/A-18: la 17 e la 18. Entriamo subito in argomento. Prima tappa: l'abbigliamento. Scarpe, tuta, tuta anti-g, guanti, casco, maschera per l'ossigeno e imbracatura con tutto l'equipaggiamento di emergenza (radio, farmacia, torcia elettrica, giubbotto di salvataggio). In totale 17 kg di materiale dal valore di 25 mila franchi. Schürmann, 30 anni, nome in codice «Schüri», con un'esperienza di volo di 2000 ore, da tre anni pilota dì F/A-18, mi accompagna nell'hangar dove è posteggiato il «nostro» Hornet (che in inglese significa calabrone): con i suoi 17,1 metri di lunghezza, 11,7 di apertura alare, e 4,6 metri di altezza è veramente impressionante. «Prego si accomodi»: mi arrampico sulla scaletta mi «calo» nel cockpit di uno degli aerei da combattimento tra i più moderni, potenti e temibili al mondo. L'F/A-18 è un jet digitale (ma molto robusto: la vita operativa dell'Hornet svizzero è di 30 anni, pari a 5 mila ore di volo) traboccante di elettronica: per una gestione ottimale di lutto il sistema, spiega Schürmann, sono necessari almeno due anni di formazione: i computer di bordo assicurano centinaia di informazioni tecniche e tattiche. La missione alla quale parteciperò fa parte del servizio di polizia aerea che le Forze aeree possono assicurare grazie all'F/A-18. Dapprima ci sarann «due Intercettazioni (il ruolo degli «invasori» sarà svolto da due piloti di milizia romandi ai comandi di due Tìger F-5. Poi ci saranno due sedute di combattimento aereo denominato in gergo «One versus two» (uno contro due), tra 10 mila e 6 mila metri di quota, nel settore Alpi vodesi e bernesi, lago di Thun e Bex. Il biposto, immatricolato J-5232 sul quale voleremo è uno dei sette F/A-18 «D» in dotazione alle Forze aeree (gli altri 26 sono monoposto «C») ed è stato il primo assemblato alla SF Impresa svizzera d'aeronautica e sistemi di Emmen. Comodamente installato (e allacciato in otto punti: il pilota deve essere un tutt'uno con il seggiolino eiettabile in modo che le gambe, in caso di espulsione non sbattano contro il cockpit), seguo con interesse e trepidazione le fasi di rullaggio e decollo.L'accelerazione è impressionante: il jet si stacca da terra a 280 km/h e continua ad accelerare: 500, 800,1.100 km/h (la velocità massima dell'F/A-18 è di Mach 1,8 - 2.160 km/h). In pochi minuti siamo a 10 mila metri di quota sopra il Vallese. Il tempo è splendido. In un solo colpo d'occhio si abbraccia tutta la Svizzera. Il radar a lunga portata, accoppiato con gli schermi nel cockpit, assicurano al pilota una vista d'insieme della situazione aerea. Si inizia con le intercettazioni che avvengono secondo criteri standard internazionali: avvicinamento e identificazione. I due Tiger cercano invano di sfuggire al «calabrone». Poi ecco il primo combattimento.I Tiger volano basso per sorprendere l'F/A-18, ma sono presto agganciati dal radar sullo schermo di destra due simboli gialli lampeggiano. Sono sotto di noi: «È l'unica possibilità che hanno», dice il pilota. Gli F-5 sono sempre più vicini: ecco il primo, poi il secondo. La velocità aumenta, appena li incrociamo inizia il «ballo». Il pilota impenna improvvisamente il jet e lo lancia in un'impressionante salita verticale. La respirazione aumenta. La tuta anti-g stringe le gambe e poi l'addome: Io schermo di sinistra indica 6 g, cioè sei volte il mio peso! Grondante di sudore, cerco di scattare qualche foto con la macchina fotografica che è ormai pesante conte un macigno. Il pilota sfrutta al massimo le capacità «Look Down/ShootDown» dell'Hornet per agganciare bersagli che volano a bassissima quota: un vero e proprio lavoro da informatico svolto in condizioni estreme, a velocità elevatissime e sotto la pressione di fortissime accelerazioni (che possono raggiungere anche i 9 g). Insomma, tutt'altro che facile. A 6 mila metri di quota, schiacciati contro il sedile, la testa all'ingiù, con le Alpi che girano in continuazione, cerco di seguire l'azione. I missili a guida radar «partono», i Tiger sono virtualmente «abbattuti». Il tempo di riprendere fiato (l'ossigeno puro distillato dalla maschera è di notevole aiuto), e Schürmann mostra le prestazioni mozzafiato dell'Hornet. Dapprima il volo lento: il jet decelera da 1.000 a 180 km/h: grazie all'enorme potenza dei due turboreattori F404-GE-402 General Electric di 16 tonnellate di spinta, l'F/A18 (che ha un peso massimo al decollo di 24,5 tonnellate), continua a salire in posizione fortemente cabrata. Incredibile!Quindi «Schüri» inizia un looping con inserita la post-combustione: inizia a 4 mila e culmina a 10 mila metri. Per qualche, indimenticabile istante, il pilota mi lascia i comandi: sotto il suo controllo effettuo un tonneau e poi un looping tra 600 e 900 km/h. La finezza e la precisione della elodie sono stupefacenti. Sulla via del rientro, il capitano mi offre uno splendido sorvolo delle Alpi, dal Finsteraarhorn, fino alla Plaine Morte e Les Diablerets, passando per il celebre terzetto delle Alpi bernesi: Jungfrau, Mönch e Eiger. L'avvicinamento a Payeme è rapido: il calabrone si posa dolcemente a 240 km/h sulla pista. Sono passati esattamente 57 minuti. Quasi un'ora di emozioni e sensazioni di grande intensità. L'eccezionale avventura è finita.