Occupazione

Ma che lavori facevano i profughi ucraini?

I rifugiati arrivati in Ticino svolgevano in patria lavori interessanti anche per la nostra economia – La maggior parte era attiva nel settore terziario, un centinaio in quello sanitario – Oberholzer: «Ma non mancano le difficoltà»
Martina Salvini
18.05.2022 06:00

Prima l’accoglienza e la scolarizzazione, e ora la ricerca di un lavoro. Non sappiamo ancora per quanto tempo rimarranno in Ticino gli oltre 2.600 ucraini scappati dal conflitto, ma dopo le primissime fasi, caratterizzate dalla ricerca di un alloggio, ora si pone la questione lavorativa. Lo statuto S permette ai rifugiati di esercitare un’attività professionale, magari proprio negli stessi settori in cui erano attivi in Ucraina. Ma che tipo di profili hanno i profughi arrivati in Ticino? E, di riflesso, in quali settori potrebbero essere impiegati? «Attraverso i questionari, siamo riusciti a raccogliere informazioni sulla precedente attività lavorativa. E dai dati emerge una certa eterogeneità. In generale, ci troviamo di fronte a persone con una buona specializzazione professionale», dice Cristina Oberholzer Casartelli, a capo della Sezione del sostegno sociale. Su 2.600 persone con statuto S, «un migliaio non ha risposto o ha indicato che non aveva un’attività in Ucraina», premette la nostra interlocutrice. «Ma questo dato si spiega con il fatto che circa il 40% dei rifugiati in Ticino è composto da bambini o ragazzi ai quali si aggiungono in particolare le persone anziane oppure con problemi di salute».

I settori di attività

Dal migliaio di risposte arrivate alle autorità cantonali emergono dati molto interessanti sui settori di attività. Il macrosettore che, stando ai dati del Cantone, impiegava più persone è il terziario. «Qui contiamo in totale 244 persone, e rappresenta il settore più importante dal profilo numerico», dice Oberholzer. Nel dettaglio, spicca il numero di persone impiegate come contabili (72 persone). Mentre altre 21 lavoravano nel campo amministrativo e 27 in quello bancario. Per quanto riguarda il settore industriale, invece, troviamo 131 persone: 36 ingegneri, una ventina di operai e «professioni affini». «Molto rilevante anche la quota di impiegati nell’ambito sanitario e socio-sanitario», sottolinea Oberholzer. «Abbiamo censito in totale 130 persone: 22 infermieri, 20 medici, 18 farmacisti. In più, si trovano diversi profili altamente specializzati, come dentisti, dermatologi, oculisti, chirurghi». Numeroso anche il gruppo di addetti alla ristorazione e al turismo: 115 in totale, suddivisi tra camerieri, baristi, cuochi (74 persone), e chi invece lavorava in alberghi e agenzie di viaggi (15 persone). Altre 108 persone, invece, risultavano impiegate nella formazione. «Qui, però, troviamo figure professionali estremamente eterogenee tra loro: in questa lista vi sono sia gli insegnanti dei vari livelli scolastici, sia chi svolgeva la professione di istruttore», precisa Oberholzer. Infine, dalle statistiche ticinesi risultano anche 66 persone che in Ucraina svolgevano professioni legate al settore della vendita. «Contiamo commessi, cassiere, venditori, ma anche chi possedeva un proprio negozio o una boutique».

Dobbiamo tenere presente che la maggioranza dei profughi è rappresentata da donne con bambini e anziani
Cristina Oberholzer Casartelli, capo Sezione del sostegno sociale

Le difficoltà

Tra le persone arrivate in Ticino vi è quindi un buon numero di professionisti. Personale specializzato che il nostro tessuto economico potrebbe assorbire con una certa facilità. «Eppure non è così semplice. Innanzitutto, dobbiamo tenere presente che la maggioranza dei profughi è rappresentata da donne con bambini e anziani. Per una madre, arrivata in un Paese straniero con i propri bambini, non è facile pensare di trovare subito un’occupazione: non potendo contare sul marito, deve badare da sola alla custodia dei figli». E poi c’è la grossa incognita sul futuro: quanto resteranno qui? Quanto durerà la guerra? «Proprio il fatto che gli uomini siano rimasti in Ucraina a combattere fa sì che molte profughe si stiano chiedendo se, passata la primissima fase della guerra, non sia già il momento di tornare a casa». Viste le premesse, quindi, la ricerca attiva di un’occupazione potrebbe avvenire tra qualche mese. «A settembre, con la ripresa delle scuole, è possibile che la questione si porrà in maniera diversa. Per il momento, però, è fondamentale che le persone si possano ambientare e integrare, sfruttando soprattutto i mesi estivi per imparare la lingua».

Una ventina di notifiche

Finora, stando alle autorità, sono una ventina le persone con lo statuto S ad aver trovato un’occupazione. «O, almeno, questo è il dato delle persone per le quali il datore di lavoro ha ricevuto la necessaria autorizzazione di lavoro presso le autorità cantonali. Ma potrebbero essere di più. Con il rinnovo delle prestazioni avremo una panoramica più chiara», commenta la responsabile della sezione del sostegno sociale. «Ricordiamo che prima di assumere una persona con statuto S - spiega - il datore di lavoro deve chiedere l’autorizzazione alla Sezione della popolazione tramite un apposito formulario. Un passaggio che consente di verificare che siano rispettate tutte le condizioni salariali e lavorative in uso, e quindi che non vi siano abusi». Ma proprio il basso numero di notifiche registrate finora fa sorgere qualche dubbio. «L’impressione è che il numero effettivo di profughi già impiegati sia più alto. Questo non significa forzatamente che i datori di lavoro abbiano agito in malafede. È invece possibile che alcuni non conoscano l’iter esatto da seguire».

Gli uffici di collocamento

Invece, i rifugiati che si sono annunciati agli Uffici regionali di collocamento (URC) «sono attualmente poco più di una decina», ci fanno sapere dalla Sezione del lavoro della Divisione dell’economia. «È possibile che, con il passare del tempo, questo numero aumenterà, ma qualsiasi previsione è prematura». In generale - spiegano - il servizio pubblico di collocamento «svolge un ruolo sussidiario rispetto alla normale interazione tra domanda e offerta sul mercato del lavoro. Tutte le persone iscritte agli URC possono accedere ai posti di lavoro offerti sulla “Job Room” di lavoro.swiss, che funge anche da interfaccia per la ricerca di candidati da parte delle aziende».

© KEYSTONE
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Sanità, ristorazione e industria. È in questi tre settori che si colloca la maggior parte dei rifugiati ucraini. Settori, dunque, che potrebbero beneficiare delle competenze delle persone scappate a causa del conflitto. Per quanto riguarda il settore sanitario, «lo scoglio principale potrebbe essere la lingua», dice Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici. Prima di poter esercitare, inoltre, i medici ucraini dovranno ottenere l’ok della Confederazione, a cui spetta il riconoscimento dei titoli di studio. «Ho già ricevuto il curriculum di un otorino laringoiatra e di un oftalmologo che vorrebbero mettersi a disposizione. Ci stiamo muovendo, attraverso le società di specialità, per capire quale ruolo potrebbero svolgere». In generale, osserva Denti, «il fatto di poter attingere a un bacino di 130 professionisti della salute (infermieri, aiuto infermieri, medici) potrebbe essere un’opportunità per il nostro settore, a corto di addetti». «Ma non è così scontato andare ad assumere personale tra i rifugiati», sostiene Massimo Suter, presidente di GastroTicino. «Vi sono diversi aspetti problematici, in primis la lingua. Inoltre, non sappiamo neppure quanto si fermeranno, quindi rischia di essere soltanto una soluzione temporanea. Qualche collega, comunque, sta valutando l’ipotesi di assumere i profughi, anche perché ormai il bacino italiano è completamente prosciugato». La presenza di una trentina di ingegneri potrebbe essere interessante anche per le industrie. «Molte aziende ricercano ingegneri meccanici ed elettronici, e quindi potrebbero decidere di far capo alle persone con statuto S. Anche perché molti Paesi dell’Est vantano una buona tradizione per le università tecniche», evidenzia Stefano Modenini, direttore di AITI. Nel settore, inoltre, la lingua non sarebbe un ostacolo, «visto che normalmente gli ingegneri conoscono bene l’inglese». Secondo Modenini, «queste persone non avranno grosse difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro. Bisognerà capire, però, se intendono fermarsi qui». 
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