L'intervista

Michele Foletti: «Le lamentele? Un po' da provinciali»

La conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina ha portato Lugano al centro del mondo, ma non tutti si sono sentiti a loro agio – Ne abbiamo parlato con il sindaco
Giuliano Gasperi
05.07.2022 18:26

Sindaco, partiamo da come appariva la città lunedì mattina: quasi deserta. Crede sia un peccato, pensando in particolare ai negozi, bar e ristoranti rimasti chiusi? Oppure è stato meglio così, anche perché l’afflusso ridotto ha semplificato, come ha detto il comandante della Cantonale Matteo Cocchi, il lavoro della polizia?
«Siamo a inizio luglio: in tanti sono già in vacanza e diverse attività sono chiuse per ferie. Certo che i media non hanno aiutato a rassicurare la popolazione: si parlava di blocco totale del traffico... Come Municipio abbiamo provato a spiegare che non era così, ma la narrazione dei negativisti è stata migliore e la gente si è spaventata. Peccato per questo terrorismo. Comunque è andato tutto bene, a parte il tubo dell’acqua rotto in via Maraini: gestire quel problema con il traffico intasato sarebbe stato molto difficile».

Torniamo sul termine che ha utilizzato: negativisti. Le lamentele dei cittadini sono state diverse: da chi riteneva sproporzionato il dispositivo di sicurezza a chi non giustificava l’evento dal punto di vista politico, passando per chi, come la Lega, l’ha etichettato con il classico «e nüm a pagum». Lei in questa ondata ha sentito anche delle critiche fondate, o il malcontento è solo frutto di una visione del mondo che si ferma alla strada bloccata sotto casa?
«Senza offesa per nessuno, a me è sembrata una forma di provincialismo. In altre città più abituate a ospitare eventi del genere queste polemiche non si sentono. Ne parlavo con il sindaco di Berna, che mi diceva: ‘A Lugano saranno tutti contenti di accogliere questa conferenza!’ Eh, insomma...».

Queste situazioni fanno riemergere il solito conflitto interiore di Lugano, sospesa tra l’ambizione di affermarsi come città e il desiderio di restare un «paesone». È stato effettivamente così?
«Sì, in parte. Per fortuna non tutti si sono lamentati. Però è vero, cadiamo in contraddizione. Vogliamo la città del business e dei congressi, e quando c’è l’occasione rivogliamo la tranquillità di tutti i giorni. Oppure rimpiangiamo il passato, quando i pescatori erano seduti in riva al lago. Io credo che un evento del genere andasse accolto positivamente».

Siamo partiti da un concetto di tutto blindato, poi man mano abbiamo analizzato i rischi e valutato quali spazi e possibilità avremmo potuto lasciare aperti

Immaginiamo una situazione impossibile, solo per capire: se questa conferenza l’aveste dovuta organizzare come Città, senza le altre istituzioni, avreste fatto tutto nello stesso modo?
«Siamo riusciti a far capire ai nostri partner quali erano i limiti di occupazione della città. E rispetto alle richieste iniziali siamo scesi di molto».

Quali erano le richieste iniziali?
«Siamo partiti da un concetto di tutto blindato, poi man mano abbiamo analizzato i rischi e valutato quali spazi e possibilità avremmo potuto lasciare aperti. Con il Dipartimento Istituzioni, il Consiglio di Stato e la polizia abbiamo tenuto in grande considerazione la libertà di movimento dei cittadini, riuscendo anche a imporre determinate scelte alla Confederazione. Non credo che come Città avremmo organizzato il tutto diversamente. Anche perché in queste situazioni, non sapendo quali ospiti arriveranno, è necessario partire con un concetto di sicurezza alto. Pensiamo se fosse venuto il segretario di Stato americano: ci avrebbero chiesto precise misure e garanzie. Alla fine, con le nostre luci blu, siamo riusciti a gestire bene l’evento rimanendo padroni a casa nostra».

Lugano quindi dovrebbe cogliere opportunità simili in futuro?
«Per me sì, al cento percento. Ci fanno fare un salto di qualità agli occhi degli altri Paesi. Parlavo ad esempio con il ministro degli esteri del Giappone e con il direttore esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: erano entusiasti di Lugano. Credo che ora abbiamo un nuovo posto sulla cartina geografica».

Complessivamente, cosa resta a Lugano dopo questo summit?
«Rimangono prima di tutto i sette principi di Lugano: le linee guida per la ricostruzione dell’Ucraina. Quando finirà la guerra e ci sarà una conferenza simile in Inghilterra, si parlerà dei principi di Lugano. Saranno un pietra miliare. Poi, come ha detto il comandante Cocchi, rimane un bagaglio d’esperienza importante».

La neutralità svizzera non è mai stata messa in discussione. Non si è parlato di come far vincere la guerra all’Ucraina, ma soprattutto di come aiutarla quando bisognerà iniziare a ricostruire

La conferenza, secondo alcuni, ha messo ulteriormente a rischio la neutralità della Svizzera. Durante l’evento le è venuto il dubbio che questo principio fosse in pericolo? O ha pensato che fosse la cosa giusta da fare?
«Mi è sembrata la cosa giusta da fare, e la neutralità svizzera non è mai stata messa in discussione. Non si è parlato di come far vincere la guerra all’Ucraina, ma soprattutto di come aiutarla quando bisognerà iniziare a ricostruire. È giusto che anche la Svizzera s’interessi di come un Paese possa rinascere, migliore, dopo un conflitto. Tutti i Paesi dovrebbero interessarsene».

Il contributo alla ricostruzione è un tema federale, ma Lugano, come città, può ritagliarsi uno spazio e dare il suo contributo?
«La volontà è quella di creare collaborazioni anche a livello regionale e comunale, e credo che Lugano possa mettere a disposizione la sua esperienza per la costruzione di città nuove, più sostenibili e resilienti. Prima però dobbiamo aspettare le linee guida della Confederazione. E poi dobbiamo imparare a conoscere l’Ucraina, per capire quali città sono più simili alla nostra. E cosa può essere utile a loro. Farlo solo per mettersi in mostra non avrebbe senso. Dobbiamo anche capire politicamente se la Città vuole farlo. Io raccolgo i contatti e propongo, ma poi ci sarà un dibattito. Un certo scetticismo sul tema esiste, e non solo da parte della Lega».

A proposito di politica comunale: il buon vecchio Palazzo dei Congressi ha fatto il suo.
«Se l’è cavata egregiamente».

Questo cambia qualcosa nelle riflessioni sul futuro centro congressuale al Campo Marzio?
«No. I partecipanti al summit sull’Ucraina non erano tantissimi e quasi tutti gli incontri coinvolgevano poche persone. Per altri convegni, come quello sui linfomi, servono spazi diversi».