Se la scuola inclusiva è migliore

La scuola inclusiva è una risposta efficace a due bisogni sociali fondamentali: l’educazione e la necessità di vivere ancorati alla realtà. Conoscere da vicino il problema della disabilità, della «diversità», aiuta. Fa crescere. E non ostacola l’apprendimento.
Le tesi di chi lavora da anni per cambiare la scuola in direzione di una maggiore integrazione hanno trovato una prima, solida conferma sul piano scientifico e statistico in uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università di San Gallo. «Pari con bisogni speciali: effetti e politiche» è il titolo del lavoro firmato dal ticinese Simone Balestra assieme ai colleghi Beatrix Eugster ed Helge Liebert e premiato alla fine dello scorso mese di novembre con lo “Schweizer Preis für Bildungsforschung 2021”, giunto all’ottava edizione.
Lo studio dei test
«Il punto di partenza del nostro lavoro è stato semplice – racconta al Corriere del Ticino Simone Balestra – ovvero, capire chi avesse ragione tra i sostenitori del diritto universale a un’educazione equa e inclusiva e coloro i quali temono che la presenza di ragazzi disabili o svantaggiati possa produrre effetti negativi sulla formazione del resto della classe».
Per la prima volta, in collaborazione con il Cantone San Gallo e con la Confederazione, sono stati analizzati i numeri dell’integrazione. Ed è stato disegnato un quadro certo, non basato cioè su sensazioni ma su dati empirici.
«Abbiamo valutato i risultati dei test obbligatori svolti dagli alunni all’ultimo anno della Media su lingua madre, matematica e seconda lingua: 50mila questionari nell’arco di 50 anni», spiega Balestra. «Ebbene, è emerso come la presenza di studenti con bisogni speciali, se limitata a un massimo del 15% circa del totale, non produce alcun effetto negativo. Il costo dell’inclusione è minimo» e del tutto sopportabile dal sistema.
Al contrario, la segregazione – vale a dire, le classi speciali verso cui sono dirottati i ragazzi disabili – ha conseguenze peggiori. Provoca sofferenze, spesso non aiuta l’apprendimento. «La politica educativa più efficace – ribadisce Balestra – è “dividere” in modo equo gli alunni con problemi nelle classi ordinarie».
La direzione ticinese
«L’esito della ricerca dell’Università di San Gallo ci conforta perché, di fatto, va nella direzione intrapresa dal Ticino ormai da qualche anno», dice Mattia Mengoni, capo sezione Pedagogia speciale del DECS. «Dal 2011 è in vigore una legge che permette la creazione di classi inclusive, di norma con non più di 3 alunni con bisogni educativi particolari e un insegnante di pedagogia specializzata che lavora in co-docenza». Questi inserimenti, spiega Mengoni, non hanno ripercussioni negative. Al contrario: «Gli alunni, anche i più piccoli, si confrontano con la disabilità, imparano che la diversità può essere un valore. Inoltre, la co-docenza paradossalmente favorisce tutti».
Le classi a effettivo ridotto di scuola speciale rimangono, non sono scomparse, e sono un risposta importante per gli alunni con bisogni particolari. «Ma l’obiettivo è averne sempre meno», ribadisce Mengoni. «Vero è che abbiamo qualche resistenza nei percorsi inclusivi, ma lieve. Sempre di più le esperienze di integrazione sono accolte in modo positivo, c’è la consapevolezza che il sistema scolastico nel suo complesso dev’essere sempre più accessibile a tutti. Per questo continuiamo a chiederci come la scuola possa modificare sé stessa, per accogliere i bambini con particolari specificità. E in tal senso lavoriamo».
I numeri del cantone
Attualmente, le classi inclusive in Ticino sono in totale 33. Quindici nella scuola dell’infanzia, 14 nella scuola elementare e 4 nella scuola media.
La suddivione territoriale è abbastanza omogenea: 15 di queste classi, infatti, sono nel Sottoceneri, 18 invece nel Sopraceneri. «Lo scorso anno scolastico avevamo 22 esperienze attive», sottolinea il capo della sezione Pedagogia speciale del DECS. «L’obiettivo, come detto, è stato di ampliare l’offerta. Gli alunni coinvolti in questa esperienza, al momento, sono 107. Mentre i ragazzi che frequentano le classi a effettivo ridotto sono, nella scuola dell’obbligo, 316». Una differenza che la scuola ticinese vorrebbe nel tempo ridurre, anche in misura massiccia. Infine, un ultimo dato, relativo agli operatori pedagogici per l’integrazione: «Abbiamo 575 alunni che beneficiano di questa misura - dice Mengoni - per un totale di 3.605 unità didattiche».