Editoriale

Anticipare il tedesco, un dibattito da aprire

Potenziare il tedesco nelle scuole sarebbe cosa buona per tutti gli studenti: sia quelli che vorrebbero completare la propria formazione nella Svizzera tedesca, sia per chi si avvicina al mondo del lavoro
Paolo Gianinazzi
28.07.2022 06:00

Da qualche tempo, attorno al mondo della scuola ticinese si è sviluppato (di nuovo) un tema che merita attenzione: l’anticipo dell’insegnamento del tedesco. Da più parti è giunta tale richiesta: l’Associazione industrie ticinesi vorrebbe portarlo alla prima media (oggi avviene in seconda), mentre la Conferenza cantonale dei giovani vorrebbe iniziare già in terza elementare, al posto del francese. Senza dimenticare i due atti parlamentari (tuttora inevasi), a cui il DECS ha risposto picche: una mozione del PLR che genericamente chiede di potenziare e anticipare l’insegnamento del tedesco e un’iniziativa parlamentare dell’UDC che vorrebbe sostituirlo al francese quale «prima lingua straniera in Ticino».

È certo che potenziare il tedesco nelle scuole sarebbe cosa buona per tutti gli studenti: sia quelli che vorrebbero completare la propria formazione nella Svizzera tedesca, sia per gli apprendisti che si avvicinano a grandi passi al mondo del lavoro. Più complesso, però, è capire se questo (benvenuto) potenziamento debba coincidere con l’anticipo dell’insegnamento alle elementari o alla prima media.

Per dare più sostanza al ragionamento, citiamo alcune cifre dell’Ufficio federale di statistica (UST): il 62% della popolazione svizzera parla tedesco, il 23% francese, l’8% italiano. Occorre, ovviamente, andare oltre. Sempre secondo le cifre dell’UST, il 68% della popolazione ricorre almeno una volta alla settimana a più di una lingua. Altrimenti detto, solo il 32% dei cittadini utilizza «solo» una lingua. In Ticino sul posto di lavoro la lingua nazionale più utilizzata (oltre ovviamente all’italiano) è il tedesco (19.799 su 152.229 occupati nel 2020), seguita dal francese (16.920) e dallo svizzero-tedesco (12.447). Dovessimo, però, includere anche le lingue straniere, tutte e tre sarebbero sorpassate agilmente dall’inglese (con 23.706). Già, in questo discorso non va dimenticata l’importanza di quest’ultima lingua.

Cifre a parte, ci troviamo davanti a una situazione intricata. Da sempre abbiamo la fortuna (e l’onere) di studiare alla scuola dell’obbligo ben quattro lingue. Resta da capire se in questo contesto sia opportuno anticipare di qualche anno l’insegnamento del tedesco. Di primo acchito, la risposta è sì: insegnare per soli tre anni alla scuola dell’obbligo la lingua più parlata nel nostro Paese appare quantomeno riduttivo. Lo stesso ragionamento, va aggiunto, varrebbe anche per l’inglese, che addirittura è insegnato per soli due anni. Tutto ciò a fronte di cinque anni dedicati al francese (con la possibilità di aggiungerne due alle Medie, per un totale di 7 anni d’insegnamento). Uno squilibrio che, guardando al mondo fuori dalle aule, non si giustifica.

A questo punto va però aggiunto un elemento importante: a meno di caricare gli allievi di ore aggiuntive, al potenziamento del tedesco dovrebbe corrispondere il de-potenziamento di un’altra materia. E sappiamo bene tutti come toccare gli ingranaggi della scuola sia complesso. Iniziare alle Elementari sarebbe un’operazione non impossibile, ma titanica: si tratterebbe di formare migliaia di docenti. Iniziare in prima Media, al contrario, sarebbe ‘‘logisticamente’’ più fattibile. Tuttavia, bisognerebbe ritoccare l’attuale equilibrio che permette agli studenti di non studiare mai più di due lingue obbligatorie (straniere) allo stesso momento. Insomma, bisognerebbe modificare un ingranaggio ben rodato. E per farlo occorre volontà politica e forse anche qualcosa di più.

Una perfetta «quadratura del cerchio», che metta tutti d’accordo, non esiste: argomenti validi, a favore e contro, sono stati forniti da entrambi i fronti. Resta, però, una certezza: la scuola non ha bisogno di un nuovo (acceso) dibattito tra partiti e DECS, che sfoci ancora in un nulla di fatto, come avvenuto per il superamento dei livelli alle medie. Da parte del mondo della scuola servirebbe la necessaria apertura per discutere un tema che, senza ombra di dubbio, avrebbe conseguenze importanti sulla sua quotidianità. Ma il fatto (indiscusso) che una riforma di questo tipo sia complessa da attuare non può rappresentare una scusante per non portarla avanti. O perlomeno per discuterne. Dall’altra parte, la politica dovrebbe dimostrare la maturità necessaria per ascoltare chi la scuola la fa ogni giorno (i docenti, in primis, ma anche gli esperti che conoscono bene gli ingranaggi che la reggono). Il peggio del peggio sarebbe una campagna elettorale fatta sulla pelle degli studenti. Uno spettacolo a cui non vogliamo assistere.