Pensieri di libertà

La verità del cinema

Mi sono ritrovata ancora una volta sul Monte Verità sopra Ascona, il 5 agosto
Francesca Rigotti
Francesca Rigotti
10.08.2022 20:47

Mi sono ritrovata ancora una volta sul Monte Verità sopra Ascona, il 5 agosto. L’occasione non era, come fino a quel momento, un congresso, bensì un ricevimento in occasione del Locarno Film Festival 2022 (grazie per l’invito, presidente!).

L’ultima volta ero stata lì nel 2018 per un convegno sull’eresia. Eresia sarebbe la negazione di alcuni dogmi o verità di fede, la messa in forse della credenza e dei principi di una determinata dottrina, definita retta, vera. In origine però eresia indicava semplicemente una presa di posizione in termini filosofici o politico-religiosi, senza riprovazione. Il termine viene dal verbo greco «hairéo» che significa scegliere. Eresia stava dunque per «scelta, elezione, inclinazione». Un bel concetto, soprattutto in ambito religioso, che vorrebbe dire che sei libero di scegliere la tua fede o anche di scegliere di non averne alcuna. Eppure c’è sempre qualcuno pronto a escludere e reprimere l’eresia in nome della verità. Quella verità che non smette di appassionarci e che oggi viene discussa nel dibattito sulle fake news, la verità virtuale, il negazionismo della verità ecc.

E la verità del cinema, mi chiedevo? La verità del cinema potremmo definirla una verità «contrattuale». Io so che la storia che sto guardando si svolge soltanto sullo schermo, che è costruita sul set con l’aiuto di infiniti espedienti e trucchi tecnici. Però quando la vedo mi lascio prendere dall’immaginazione e tengo per vero tutto quel che viene proposto ai miei occhi e alle mie orecchie, e considero così reali quelle storie da identificarmi e provare passioni e sentimenti: ira, paura, sgomento, commozione… Eppure anche l’immedesimazione non dovrebbe farmi dimenticare che sempre un patto sotto c’è, un consenso tra spettatore e attore, tra pubblico e regista, che fa sì che chi guarda sappia benissimo, anche se talvolta lo dimentica, che assiste a un tipo specifico di verità, alla verità del cinema, consensuale, liberamente concordata. Una verità anche un po’ scettica, che tiene in onore la parola forse.

La parola «forse» mette ombra sullo splendore della verità nuda e cruda, fulgida di luce, come le ombre degli alberi del giardino del Monte Verità mettevano ombra su di noi in una giornata rovente. La parola «forse» ci circonda di sfumature e ombre, di dubbi e incertezze, anche di scetticismo: ma uno scettico è sempre meglio «di un fanatico (nessuna scuola scettica ha mai riempito il mondo di rovine e di cadaveri)» - scriveva nel 1946 Pietro Pancrazi nel saggio «Sulla tolleranza» (Sellerio, Palermo, 2004, p. 30). Sotto le fronde degli alberi del Monte Verità pensavo a questa particolare verità del cinema, sempre frutto di un tacito accordo anche quando pretende di essere verista, realista, o addirittura documentaria.

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