Il commento

Quello che il PIL dice e non dice

Negli ultimi trent’anni il prodotto interno lordo reale (PIL) del nostro Paese è aumentato cumulativamente di oltre il 60% contro il 100% negli Stati Uniti, il 40% in Germania e il 21% in Giappone
Carlo Rezzonico
Carlo Rezzonico
26.01.2023 06:00

Nel novembre dell’anno scorso David Marmet, capo economista Svizzera della Zürcher Kantonalbank, ha pubblicato un breve ma significativo studio meritevole di essere conosciuto nel nostro Paese su larga scala. Eccone un riassunto.

In passato l’economia svizzera ha mostrato ripetutamente resistenza di fronte alle avversità. C’è però da menzionare un punto negativo. Negli ultimi trent’anni il prodotto interno lordo reale (PIL) del nostro Paese è aumentato cumulativamente di oltre il 60% contro il 100% negli Stati Uniti, il 40% in Germania e il 21% in Giappone. A parte l’eccezionale risultato americano, per il resto la Svizzera si trova in una posizione buona. Tuttavia il PIL non basta per dare una indicazione precisa sul benessere materiale di un popolo. Più attendibile al riguardo è il rapporto fra forza economica e numero degli abitanti. La Svizzera è una delle nazioni più prospere del mondo in quanto dispone di un PIL per abitante relativamente alto. Anche sotto questo aspetto il nostro Paese non è messo male. Bisogna però considerare che negli ultimi trent’anni la popolazione da noi è aumentata del 27%, in Germania del 3,5% e in Giappone dello 0,6%; una percentuale superiore si è registrata solo negli Stati Uniti con il 29%. Tenuto conto di questi dati il PIL per abitante in Svizzera negli ultimi decenni è salito solo del 29%, negli Stati Uniti del 55%, in Germania del 36% e in Giappone del 20%. A questo punto la Svizzera non brilla più. Certamente il PIL della nazione è cresciuto considerevolmente però il benessere per abitante ha fatto un progresso scarso. L’aumento della popolazione è dipeso soprattutto dall’immigrazione. Oltre a discussioni politiche sulla densità della popolazione, sull’ampliamento delle infrastrutture e sull’immigrazione desiderata è importante trovare soluzioni per aumentare la produttività, il progresso tecnico e relativi regolamenti.

Fin qui ho riferito il pensiero del Marmet; ora faccio seguire alcune considerazioni supplementari. La crescita scarsa del PIL per abitante nel nostro Paese non costituisce una novità e qualche economista o giornalista ne aveva accennato già anni fa. Tuttavia quelle segnalazioni non avevano sollevato le reazioni che avrebbero meritato e sono passate quasi inosservate. Questa volta invece le cose sono andate diversamente. Diverse persone hanno messo in evidenza che nel nostro Paese non soltanto la possibilità di acquistare beni e servizi si è allargata molto debolmente ma a causa dell’evoluzione demografica sono sorti o si profilano così tanti inconvenienti che il benessere della popolazione, considerato in una visione più ampia e non misurato soltanto in franchi, centesimi e percentuali, si è ridotto o si sta riducendo. Si menzionano gli inconvenienti ambientali (la difficoltà nel rispettare gli obiettivi stabiliti internazionalmente, la cementificazione sempre più estesa del territorio, la degradazione del paesaggio, la diminuzione della biodiversità), la necessità di ampliare continuamente le infrastrutture nonostante la dimensione piccola della nazione, le tensioni sui sistemi sociali e l’aumento dei prezzi dei beni immobili. Preoccupazioni destano i problemi concernenti gli approvvigionamenti dall’estero (oggi particolarmente quelli di energia), che sarebbero più facilmente risolvibili in presenza di una crescita meno esplosiva della popolazione.

Certamente nei timori della gente entra una componente di emotività e non manca qualche esagerazione. Tuttavia non si può negare che l’inquietudine nasca da inconvenienti effettivi, dei quali è doveroso tener conto. Alcuni fatti o iniziative possono attenuare i contrasti e consentire una certa crescita economica senza ulteriori aumenti dei posti di lavoro e quindi senza costituire un incentivo all’immigrazione. Per esempio il progresso tecnico permette di produrre più beni senza che occorra impiegare maggiori forze lavorative. Lo stesso risultato è conseguibile semplificando la burocrazia o evitando di costringere le imprese ad allestire rapporti di dubbia utilità. Con la razionalizzazione del lavoro diventano possibili riduzioni di personale sia nelle aziende sia nell’ambito statale. Ma evidentemente questo non basta e bisogna pensare anche a provvedimenti più incisivi.