Commento

Se tornano i fantasmi del passato

Se, al pari delle altre arti, il cinema può essere considerato uno «specchio» della società in cui viviamo, in questi tempi cupi e bellicosi in un festival da sempre sensibile alle tematiche sociali come quello di Locarno, bisognerebbe attendersi una pletora di opere sulla guerra in corso nel cuore dell’Europa
Antonio Mariotti
09.08.2022 06:00

Se, al pari delle altre arti, il cinema può essere considerato uno «specchio» della società in cui viviamo, in questi tempi cupi e bellicosi in un festival da sempre sensibile alle tematiche sociali come quello di Locarno, bisognerebbe attendersi una pletora di opere sulla guerra in corso nel cuore dell’Europa. Il cinema però - più di altre arti - ha tempi lunghi di reazione vista la complessità della «macchina» di cui ha bisogno per esprimersi e quindi l’appuntamento con tali scottanti tematiche è da considerarsi solo rinviato al prossimo anno. Ciò non toglie che Locarno 75, durante i suoi primi cinque giorni di svolgimento, abbia saputo presentare almeno tre film che - seguendo modalità narrative completamente diverse tra loro - hanno riportato sugli schermi di oggi i fantasmi del passato legati agli orrori della Seconda guerra mondiale. La prima di queste opere - Hitler’s Madman firmata da Douglas Sirk al suo debutto nell’industria cinematografica americana nel 1942 - è quello che oggi si definirebbe un instant movie. Il regista tedesco, da poco esiliato oltreoceano, mette infatti in scena un agghiacciante fatto bellico accaduto da pochi mesi, per l’esattezza il 10 giugno 1942: la distruzione da parte degli occupanti nazisti del villaggio ceco di Lidice e la deportazione e sterminio dei suoi abitanti, in seguito all’attentato organizzato dai partigiani del luogo che costò la vita al governatore nazista di Boemia e Moldavia Reinhard Heiydrich. Sulla base di questi fatti storici, il regista e i suoi sceneggiatori incastonano l’immancabile storia d’amore (questa volta non a lieto fine) ma soprattutto evidenziano con estrema durezza la violenza psicologica a cui sono sottoposte le popolazioni che vivono in una situazione di occupazione militare. Un film che servì a Sirk per rifarsi una verginità nei confronti degli Studios hollywoodiani che lo sospettavano di collaborazionismo con il regime nazista avendo lasciato la Germania solo nel 1937, ma che rivisto oggi ci ricorda la forza che il cinema può mettere in campo per sensibilizzare un pubblico che, come quello statunitense di allora, considerava la guerra in corso in Europa come una vicenda tutto sommato remota. E ciò nonostante qualche forzatura di troppo che oggi ha il sapore dell’ingenuità. Gli altri due film di questo filone visti a Locarno sono invece delle nuove produzioni. Il mio vicino Adolf del regista israeliano Leon Prudovsky (passato in Piazza Grande) ha in primo luogo il pregio di affrontare un tema tragico come quello dei traumi vissuti dai sopravvissuti all’Olocausto, seguendo le regole della commedia. Un’opera delicata che assume anche un profondo significato per ciò che riguarda l’infinita ricerca di una Verità riguardo a fatti per i quali - anche a distanza di decenni è impossibile trovare una spiegazione minimamente razionale. Il film più impressionante di questa triade è senz’altro Skazka (Fiaba) del maestro russo Alexander Sokurov, presentato nel Concorso internazionale e di certo tra i favoriti al Pardo d’oro. L’autore de L’arca russa ha letteralmente riportato in vita i fantasmi di un passato oscuro e tormentato: ai sanguinosi dittatori Hitler, Mussolini e Stalin, il regista accosta un tronfio Winston Churchill, incapace di distinguersi nella retorica generale. In questo caso però il discorso tecnico assume un ruolo preponderante, visto che Sokurov - utilizzando materiale d’archivio della sua collezione - fa dialogare tra loro i suoi personaggi in maniera amaramente ironica svelandoci un «dietro le quinte» che riduce a superficiale blabla decisioni che sono costate la vita a milioni di persone. Tre film che ci riportano indietro nel tempo, mostrandoci la forza del cinema quando osa occuparsi di temi importanti che potrebbero sembrare troppo impegnativi ma non lo sono. Una lezione che ci viene da Locarno ma vale ovunque.

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