L'editoriale

La tenuta elvetica e la linea della BNS

L'economia svizzera ha tenuto meglio di molte altre, sia durante il biennio pandemico sia durante la guerra in Ucraina
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
25.03.2022 06:00

L’economia svizzera ha tenuto e tiene meglio di molte altre. Ciò è stato vero per il biennio pandemico 2020-2021 ed è vero per ora anche per questo 2022 segnato ancora da code di coronavirus e dalla guerra in Ucraina. Le precedenti previsioni di crescita evidentemente non possono essere confermate, c’è un inevitabile rallentamento, ma per adesso stiamo parlando ancora di una crescita elvetica ragionevole. Nei giorni passati la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha indicato una previsione del 2,8% per quest’anno, ieri la Banca nazionale svizzera (BNS) ha affermato di prevedere un circa 2,5%; si tratta rispettivamente di 0,2 punti e di 0,5 punti in meno rispetto alle previsioni dei mesi scorsi, ma in entrambi i casi sono cifre da economia in tenuta. A proposito di BNS, è lecito però chiedersi se il suo contributo alla tenuta dell’economia svizzera possa essere maggiore, attraverso un cambiamento di linea.

L’istituto centrale elvetico ha confermato la sua posizione, che poggia ormai da molto tempo su due pilastri: interventi sul mercato con acquisti di valute estere, soprattutto di euro; tassi di interesse negativi sul franco, con il tasso di riferimento a -0,75%. L’obiettivo è sempre frenare l’ascesa del franco, che quando diventa troppo forte crea ostacoli all’export svizzero. Questa linea BNS ha appunto frenato il franco, ma non ha cancellato il suo trend al rialzo, perché la valuta elvetica è spinta dalla stessa tenuta del sistema Paese e dal fatto che è un bene rifugio per gli investitori. La BNS negli anni scorsi ha comprato tempo, ha aiutato le imprese svizzere esportatrici nell’adattarsi all’ulteriore forza del franco, cosa che la gran parte di esse ha avuto la capacità di fare, come mostra il livello ancora elevato dell’export.

Con il passare degli anni gli spazi di manovra si sono però fatti più stretti e al tempo stesso sono cresciuti i costi di questa linea. I tassi negativi hanno compresso i margini di banche e società finanziarie, oltre che di molti investitori privati e istituzionali, casse pensioni comprese. Gli acquisti di valute estere hanno ampliato moltissimo il bilancio della BNS, con riserve valutarie che sono attorno ai 1.000 miliardi di franchi, moltiplicate quasi per quattro rispetto al 2011. Il fatto che l’anno scorso l’istituto abbia acquistato per 21,1 miliardi, e non per ben 110 miliardi come nel 2020, è una consolazione relativa. La BNS afferma di saper gestire questo enorme bilancio e le si può credere, vista la media dei suoi risultati; ma resta il fatto che la sua esposizione ai rischi di mercato continua a essere grande.

In più, l’aumento dell’inflazione a livello internazionale sta facendo emergere più chiaramente un vantaggio del franco forte: i beni esteri necessari di fatto costano meno e la valuta forte evita l’importazione di rincaro. Pur in rialzo, l’inflazione elvetica resta molto più bassa di quella di tanti altri Paesi. Frenare ancora il franco ora è anche in parte inutile: gli ostacoli in più sull’export (ma quanti possono essere ancora?) sono più compensati di prima dai vantaggi sull’import. Una parte delle banche centrali, e tra queste la Fed americana, ha cominciato ad aumentare i tassi contro l’inflazione e ciò pure crea un contesto più favorevole per ritocchi all’insù dei bassissimi tassi elvetici. L’Eurozona è area principale per gli scambi svizzeri e la BNS guarda soprattutto alla BCE, che ancora non si è mossa sui tassi. In tempi normali si può comprendere questa attenzione alla BCE, per non far apprezzare troppo il franco sull’euro. Ma siamo attorno all’1 a 1 con l’euro, quanto ancora si può frenare il franco e con quali costi? Con l’inflazione mondiale più alta, a maggior ragione la BNS dovrebbe considerare una forte diminuzione degli acquisti di valute e i primi rialzi, dopo lungo tempo, dei tassi elvetici.

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