Ma in Ticino già da tempo lo Stato è laico

L'EDITORIALE DI FABIO PONTIGGIA
L'iniziativa non approderà sui tavoli del Gran Consiglio.
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
16.11.2018 06:00

di FABIO PONTIGGIA - Arrivano anche notizie positive in questa stagione di disorientamento. L'iniziativa denominata «Ticino laico» non è riuscita a raccogliere le diecimila firme necessarie, il dibattito in Governo e in Parlamento non ci sarà, la votazione popolare non avrà luogo. La Costituzione cantonale rimane invariata. È un bene che sia così. Di tutto abbiamo infatti bisogno oggi in Ticino tranne che di uno scontro d'altri tempi sulle religioni e sul rapporto fra lo Stato e le Chiese. Una questione già affrontata anche in votazione popolare e risolta sul piano costituzionale in modo sensato ed equamente rispettoso di tutte le sensibilità.

Cosa recrimina(va)no i promotori dell'iniziativa «Ticino laico»? In sostanza che la Costituzione vigente privilegi la Chiesa cattolica e la Chiesa evangelica, collocandole su una corsia preferenziale non solo rispetto ad altre chiese e quindi, secondo loro, ad altre fedi, ma anche e soprattutto nei confronti di chi non è credente. In che modo? Con sussidi e contributi pubblici finanziati anche con i soldi di chi è ateo o ha una posizione agnostica in materia religiosa, con un «trattamento privilegiato nei media del servizio pubblico», con l'ora di religione nelle scuole statali e con «un'attenzione spropositata nelle istituzioni».

È legittimo che i cittadini atei provino disagio e disappunto su questi aspetti della nostra società regolati dallo Stato. A chi non crede nell'esistenza di Dio o a chi, più semplicemente, non ha una risposta, né affermativa né negativa, sulla domanda circa l'esistenza di Dio, può sembrare fuori posto e non corretto che lo Stato, tramite il Cantone o i Comuni, contribuisca ad esempio al restauro di una chiesa o al reddito di un sacerdote. Ma l'iniziativa popolare «Ticino laico» aveva sbagliato bersaglio: la Costituzione cantonale è infatti già pienamente laica. Lo è per tre ragioni. Innanzitutto parla di «comunità religiose» e non di religioni: fa dunque riferimento non alla dimensione ultraterrena, sulla quale non si esprime, ma alle persone che si riconoscono in un determinato credo e si organizzano per questo, appunto, in una comunità, con le sue istituzioni e le sue regole.

In secondo luogo afferma l'autonomia del potere statale da quello delle Chiese. Queste ultime non hanno infatti competenze di nessun genere relativamente all'esercizio dei classici poteri statali. Infine stabilisce l'uguaglianza delle diverse comunità religiose. A questo riguardo l'articolo 24 della nostra Carta fondamentale deve essere considerato nella sua integrità: non solo quindi nel primo capoverso («La Chiesa cattolica apostolica romana e la Chiesa evangelica riformata hanno la personalità di diritto pubblico e si organizzano liberamente»), ma anche nel secondo («La legge può conferire la personalità di diritto pubblico ad altre comunità religiose»). Il fatto che le due Chiese cattolica ed evangelica siano espressamente menzionate non costituisce una discriminazione verso altre comunità religiose (per le quali la porta rimane aperta), ma è il semplice recepimento, nella Costituzione del 1997, di una evidenza storica inconfutabile e nello stesso tempo una garanzia di continuità rispetto alla volontà popolare più volte espressa precedentemente, e laicamente, in Ticino sui rapporti fra lo Stato e queste due Chiese. Comunità religiose diverse da quelle radicate nel nostro Paese e nella nostra società potrebbero essere perfettamente allineate in futuro con le due che fanno parte della nostra storia. E questo è più che sufficiente a tutela della laicità dello Stato e dell'uguaglianza di trattamento.

Cancellare invece dalla Costituzione il riferimento, laico, alle comunità religiose (e non – giova ripeterlo – alle fedi religiose, rispetto alle quali la Carta fondamentale si limita a tutelare la libertà di scelta, il diritto individuale di professare una credenza e la non discriminazione in base alla fede) sarebbe, quella sì, una scelta o, meglio, un'imposizione unilaterale e discriminatoria, poiché privilegerebbe l'ateismo come opzione di fondo dello Stato. I due capoversi che l'iniziativa «Ticino laico» avrebbe voluto inserire nella Costituzione cantonale all'articolo 24, al posto degli attuali, sono uno inutile e pleonastico («Lo Stato è laico e osserva la neutralità religiosa»: principi, questi, già sanciti dagli articoli 7 e 8), l'altro contraddittorio e occultamente vessatorio verso le due storiche Chiese: «Al fine di proteggere le libertà di coscienza e di credenza, il Cantone e i Comuni non promuovono né sovvenzionano alcuna attività legata ad un culto». Non si protegge di certo la libertà di coscienza e quella di credenza – già tutelate, come s'è visto, dagli articoli 7 e 8 – con provvedimenti negativi o divieti discriminatori. Sarebbe come pretendere, ad esempio, che la libertà politica e quella di associazione siano da tutelare mediante il divieto di finanziare i gruppi politici.

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