L'opinione

Riflessioni sulla politica energetica in Svizzera

Sul riscaldamento climatico si costruiscono, a torto, anche oscuri scenari dell’orrore che non posso in alcun modo condividere perché si reggono più su convinzioni di natura pseudo-religiosa che scientifica
Piero Martinoli
10.08.2022 15:04

Non sono un esperto di clima e riscaldamento climatico per poter giudicare a fondo i lavori scientifici in questo campo perché troppe conoscenze specifiche mi sfuggono, ma sono sufficientemente «fisico» per capire l’essenziale.

Sono convinto che l’attività industriale dell’uomo, sviluppatasi grazie (ma non unicamente) alle energie di origine fossile (carbone, petrolio, gas, ecc.), abbia contribuito (e continui a contribuire) tramite le emissioni di CO2 al riscaldamento climatico: la correlazione tra emissioni di origine antropica e aumento della temperatura del pianeta è provata e scientificamente irrefutabile. Al riscaldamento climatico si attribuiscono, a ragione, fenomeni non nuovi ma molto più frequenti (progressivo scioglimento dei ghiacciai, violenti uragani, siccità, desertificazione, ecc.) che hanno conseguenze talvolta tragiche non solo per le popolazioni direttamente coinvolte, ma anche per quelle che ne devono poi sopportare le ripercussioni (vedi, ad esempio, le migrazioni e ciò che esse comportano sotto tutti i punti vista: sanitario, finanziario, sociale, ecc.).

Sul riscaldamento climatico si costruiscono però, a torto, anche oscuri scenari dell’orrore che non posso in alcun modo condividere perché si reggono più su convinzioni di natura pseudo-religiosa che scientifica, alimentate dai media che, evidentemente, ci sguazzano dentro (vedi il coro di sostegno quasi unanime ai «bla-bla» della «Greta del nord»). Purtroppo questi «apostoli verdi» hanno il vento in poppa e le loro idee di «decrescita felice» stanno impregnando la società, che forse rinsavirà solo quando avrà sperimentato sulla propria pelle cosa vuol dire passare un inverno al freddo, con interruzioni di energia elettrica e altre sgradevoli consequenze della guerra in Ucraina. Allora il «party» e la relativa sbornia saranno finiti e forse ci si ritroverà a discutere di riscaldamento climatico, energia e altro in maniera più fattuale.     

Trovo più che ragionevole, anzi assolutamente necessario, che si abbandonino i combustibili fossili: oltre ai danni provocati dal riscaldamento climatico evocato pocanzi, un paese come il nostro deve assolutamente rendersi indipendente da un vettore energetico, così preponderante da noi, proveniente da paesi esteri, in particolare dalla Russia, i cui umori possono drasticamente cambiare come lo stiamo vivendo in questo momento. Ricordo che la Svizzera nel 2019 copriva 2/3 del suo fabbisogno energetico totale con combustibili di origine fossile d’importazione (carburanti, combustibili petroliferi, metano: i dati sono dell’Ufficio Federale dell’Energia (UFE).

Allora come procedere alla sostituzione dei combustibili fossili? La politica energetica 2050, elaborata da Doris Leuthard con il concorso di tre colleghe dopo il disastro di Fukushima, prevede la sostituzione dei combustibili fossili con un mix di energie rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico, eolico), rinunciando progressivamente e definitivamente al nucleare. E allora vediamo, facendo un semplice esempio pratico, se la proposta delle «4 veggenti» può funzionare.

Prendiamo il settore dei trasporti (pubblici + privati) nel quale vengono consumati quasi esclusivamente combustibili fossili come benzina, gasolio e cherosene, il consumo di energia elettrica da parte di veicoli a trazione elettrica essendo ancora, anche se in crescita, del tutto trascurabile (UFE, 2019). Ebbene la quota percentuale di questo settore nel bilancio globale del consumo di energia (ossia di tutti i vettori energetici) in Svizzera è di quasi il 38% (UFE, 2019). Se decidiamo di abbandonare il vettore fossile nel settore dei trasporti, ciò che non solo sarebbe lodevole, ma necessario se vogliamo proteggere il pianeta dalla febbre e dalle sue nefaste conseguenze, dobbiamo sostituirlo con quello elettrico, ossia con veicoli a trazione elettrica. Ma qui cominciano le difficoltà: le batterie vanno ricaricate e per farlo ci vuole corrente elettrica. E come la produciamo per chiudere il «buco» del 38%? Non certo facendo uso della ricetta proposta dalle «4 veggenti», basata essenzialmente sulle energie rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico, eolico) oltre che sul risparmio e l’efficienza energetici. Infatti:

(i) in Svizzera l’idroelettrico è già quasi alla canna del gas (!): aumentarne la produzione e l’efficienza è sì possibile, ma solo entro certi limiti. Inoltre, ogni volta che da qualche parte si propone di alzare una diga o altro per aumentare lo stoccaggio di energia qualche «apostolo verde» fa opposizione;  

(ii) il fotovoltaico, malgrado progressi scientifici e tecnici notevoli nonché investimenti più che generosi da parte dello Stato, non potrà mai farcela, neanche creando superfici immense di pannelli solari (per esempio «pannellizzando» intere superfici di edifici, stadi sportivi in disuso e altro ancora) per compensare il «peccato originale» dell’energia solare: quello di essere molto diluita; senza dimenticare la dipendenza stagionale dell’energia di origine fotovoltaica, che comporta  problemi di stoccaggio di non facile soluzione.

(iii) nemmeno l’eolico potrà contribuire a compensare non fosse che una piccola, anche se apprezzabile, frazione di quei 38%. E anche qui, come per l’idroelettrico, le opposizioni non mancano ...

(iv) risparmio e efficienza energetici sono senz’alcun dubbio necessari e benvenuti (troppi gli sprechi energetici oggi!), ma il loro contributo resterà pur sempre modesto.

Faccio notare che la sostituzione dei combustibili fossili nel settore dei trasporti con il trasporto elettrico è solo una parte del problema: si pensi al largo uso di combustibili fossili nelle economie domestiche (per il riscaldamento, soprattutto). Se vogliamo raggiungere l’obiettivo di «zero emissioni di CO2 nel 2050» previsto dalla svolta energetica 2050 elaborata dalle «4 veggenti», la quantità di energia elettrica dovrebbe quindi essere ben superiore a quella necessaria per colmare il «buco» dei trasporti. 

Per raggiungere il traguardo «zero emissioni di CO2» si potrebbe quindi ricorrere alla produzione di energia elettrica mediante centrali a gas e/o a centrali nucleari. Con i tempi che corrono è meglio scordarsi della centrali a gas (vedi dipendenza dalla Russia per le forniture di gas) che, inoltre, generano CO2, anche se in minor misura di altri vettori fossili.  

Resterebbe il nucleare, ma il solo menzionarlo suscita reazioni irrazionali, addirittura stizzite: la nostra ministra dell’energia (una delle «4 veggenti») si irrigidisce, come vedesse una serpe, quando le fanno domande sull’eventuale impiego del nucleare che, nota bene, l’Unione Europea annovera tra le energie sostenibili! E non per nulla Francia, Paesi nordici, USA e altri ancora non esitano a percorrere questa via. Ma da noi c’è una specie di guerra di religione nei confronti del nucleare, che ha le sue radici storiche all’epoca del progetto «Kaiseraugst» abbandonato da Consiglio federale e Parlamento nel 1975 sotto le pressioni dei sessantottini, della sinistra e della piazza che li ha seguiti. Questa avversione è rimasta negli anni e negli animi ed è stata amplificata dai disastri di Chernobyl (gravissimo sì, ma provocato dai tecnici (ir)responsabili del funzionamento della centrale che hanno giocato con il reattore come apprendisti stregoni) e Fukushima (provocato da uno tsunami, non da una difettuosità del reattore, e molto meno grave di Chernobyl perché le radiazioni sono state tenute sotto controllo). Oggi i reattori di nuova generazione sono concepiti su basi completamente diverse che li rendono molto più sicuri perché le reazioni nucleari non possono più sfuggire di mano come a Chernobyl. Anche dal punto di vista delle scorie radiottive si sono fatti notevoli progressi per cui, dal mio punto di vista, non costituiscono più un problema insolubile. Mi si dirà che continueremo a dipendere dall’estero per la fornitura del combustibile nucleare (uranio, torio): è vero, ma i paesi fornitori da cui dipenderemmo sono molto più diversificati (Australia, Canada, USA, Africa e altri ancora) e certamente più affidabili di Russia e consorti.

Certo, si può importare energia elettrica da paesi che, come la Francia, la producono con le centrali nucleari: un atteggiamento che ritengo ipocrita e una capitolazione per quanto riguarda la nostra autonomia energetica.

In tutto quanto detto finora, non ho accennato al fatto che con l’abbandono progressivo del nucleare la Svizzera si priverebbe di un ulteriore 35% di energia elettrica (UFE, 2019), che secondo la più volte citata svolta energetica 2050 dovrebbe pure essere compensato mediante le energie rinnovabili evocate pocanzi. Questo è puro «Wunschdenken»!   

Corriamo come pecore verso un suicidio energetico? Mi sono più volte domandato: perché questa attitudine ostile, questa crociata nei confronti del nucleare, così diffusa perché va ben oltre la cerchia degli «apostoli verdi»? Credo che la risposta vada cercata nella paura ancestrale che suscitano nell’uomo l’invisibile, l’impalpabile, come appunto lo sono le radiazioni emesse dalla fissione nucleare. L’uomo è sconvolto di fronte al fenomeno, si sente impotente: in fondo ciò è comprensibile, ma ci si deve opporre con fermezza e lucidità alla ideologie fanatiche e intransigenti che ne sfruttano la vulnerabilità, le paure, le esitazioni. Per inciso, si noti la contraddizione: l’uomo sfrutta ampiamente le radiazioni in medicina e in altri campi della scienza e della tecnologia, senza troppi patemi d’animo ...

Un’ultima osservazione. Dovessimo domani fare marcia indietro e ritornare al nucleare, cosa che auspico, ci troveremmo comunque in una sgradevole situazione: scienziati, ingenieri e tecnici competenti nel settore saranno merce rara perché l’abbandono del nucleare nella strategia energetica 2050 ha scoraggiato molti giovani a formarsi in questo campo. Anche questo è un fattore da non dimenticare, in quella che potrebbe diventare una corsa contro il tempo: e la formazione ne richiede parecchio...    

In conclusione se vogliamo davvero realizzare la «svolta energetica 2050» dobbiamo imperativamente deideologicizzare (direi, addirittura, defanatizzare) il dibattito sul nucleare: altrimenti invece di «svolta» sarà «storta» energetica (o come scrive meglio la NZZ: «Energieende statt Energiewende»).