Amici miei: i ministri sui social

Su Instagram pubblica foto di bovini, felini e passeggiate in montagna. Su Facebook bisticcia a distanza con il critico d’arte italiano Vittorio Sgarbi. Su Twitter esulta per le medaglie degli svizzeri ai campionati europei di atletica e di ciclismo, ritwitta gli avvisi sulle code al San Gottardo o frasi di personaggi famosi come Ronald Reagan o il poeta turco Nazim Hikmet.
Il consigliere di Stato Norman Gobbi è il re dei social network tra i politici ticinesi. Oltre 33 mila persone leggono i suoi messaggi, sommando i follower dei tre principali media sociali. Da solo, Gobbi ha più seguito di tutti gli altri membri di governo messi insieme.
Un successo «fatto in casa», visto che il direttore delle Istituzioni gestisce i suoi profili autonomamente, senza avvalersi dell’ausilio di consulenti esterni. D’altra parte non stupisce che un laureato in scienze della comunicazione abbia una certa dimestichezza con la comunicazione.
Zali, la mosca bianca
Anche gli altri consiglieri di Stato, interpellati da La Domenica, affermano di gestire i propri profili sostanzialmente da soli. Christian Vitta e Manuele Bertoli sono presenti su tutti e tre i social network, Raffaele De Rosa solo su Facebook, dove pubblica solo pochi messaggi e prevalentemente di carattere istituzionali. La mosca bianca è Claudio Zali,che parrebbe essere presente solo su Instagram, a titolo personale e non come consigliere di Stato. «Preferisco non esprimermi in merito - dice il direttore del Dipartimento del territorio -, io considero i media sociali come parte della mia vita privata».
Esattamente l’opposto di colui che parrebbe volergli lanciare il guanto di sfida alle prossime elezioni cantonali, Piero Marchesi. Non passa praticamente giorno senza che il consigliere nazionale e presidente UDC si rivolga ai suoi oltre 10 mila seguaci. Se sfida sarà, si confronteranno due approcci estremamente diversi alla comunicazione. Sarà interessante osservare quale sarà più efficace.
Assunti dieci esperti
Ad ogni modo i media sociali sono una realtà cui partecipano ormai quasi tutti i politici del mondo. Il 97% dei governi di Paesi membri dell’ONU è attivo su Twitter, il 93% su Facebook e l’81% su Instagram.
Da ottobre li raggiungerà anche il nostro Consiglio federale, che in settimana ha annunciato il suo sbarco su Instagram nell’ambito di un «progetto pilota» che ha richiesto l’assunzione di una decina di esperti in social media. Uno per ogni consigliere federale, tranne che per Ueli Maurer, il quale ha gentilmente declinato l’offerta. Gli esperti restanti si occuperanno invece di armonizzare la comunicazione social del governo nel suo insieme.
Un tentativo di mettere ordine in una gestione oggi piuttosto aleatoria. Attualmente ogni consigliere federale decide in piena autonomia quali social network utilizzare, cosa pubblicare e come interagire con gli utenti.
Il più popolare è Berset
Il più attivo e più popolare è indubbiamente Alain Berset. Il ministro della Sanità è un po’ il Norman Gobbi nazionale. Con grande abilità e senso estetico riesce a coniugare la diffusione di messaggi istituzionali con l’apertura di uno scorcio sulla propria vita privata e sulle proprie passioni. Sulle pagine di Berset sono quindi transitati appelli alla vaccinazione contro il COVID, resoconti di visite di capi di Stato esteri, ma anche tramonti alpini o momenti di vita culturale. Un mix che ha conquistato un seguito complessivo di quasi 400mila persone.
Molto più indietro, nella classifica della popolarità, sono tutti gli altri consiglieri federali. Simonetta Sommaruga e Ignazio Cassis hanno ognuno poco più di 80 mila seguaci, Guy Parmelin circa 40 mila, mentre Viola Amherd, che è presente solo su Twitter, poco meno di 30 mila. Ci sono infine due membri di governo - Karin Keller-Sutter e Ueli Maurer - che non hanno nemmeno un profilo ufficiale. Per comunicare con la popolazione continuano ad affidarsi ai canali tradizionali.
I video su YouTube
Come collegio, il Consiglio federale è già presente da tempo su YouTube, dove trasmette le sue conferenze stampa e le spiegazioni riguardanti gli oggetti in votazione popolare. La pandemia ha messo le ali al canale del Consiglio federale, che conta ora circa 78 mila abbonati. Il video più visualizzato in assoluto risale al 16 marzo 2020, quando vennero annunciate le misure contro il COVID. È stato visto 482 mila volte. Ma ci sono anche filmati che non sono stati visualizzati nemmeno un migliaio di volte. Il record negativo spetta all’allocuzione di Karin Keller-Sutter sul finanziamento di Frontex, nello scorso mese di maggio. Ha raccolto la miseria di 824 visualizzazioni.
Ma non è tanto il successo che conta, per il Consiglio federale, quanto la presenza. Nella sua strategia concernente i media sociali, adottata lo scorso anno, il governo evidenzia come «in nessun altro luogo le indiscrezioni, le notizie false e le campagne di disinformazione mirate si diffondono così velocemente come nei media sociali». Inoltre «le campagne di voto si spostano sempre più su Internet». È quindi importante che il Consiglio federale possa far sentire la propria voce anche in questa sede.
Informarsi su Instagram
La sede principale, per molti giovani. Da uno studio di Google è emerso che il 40% dei giovani americani usa Instagram o TikTok anche come motore di ricerca. E se oggi qualcuno volesse provare, ad esempio, a informarsi su Instagram in merito all’iniziativa contro l’allevamento intensivo , al voto il prossimo 25 settembre, troverebbe solo le argomentazioni del comitato favorevole. Il Consiglio federale, contrario, spiega le sue ragioni nel materiale informativo e con la consueta allocuzione. Ma forse non è un male se provasse a farsi sentire anche da chi non legge più la carta stampata e non guarda più la televisione.


Prossimità e immediatezza, comunicando online deputati più vicini alla gente
di Giorgia Cimma Sommaruga
Jean-Patrick Villeneuve è direttore dell’Istituto di Comunicazione e Politiche pubbliche (ICPP) e professore straordinario presso l'Università della Svizzera italiana (USI).
Professore, quali sono i vantaggi dei social network per un politico?«Tanti. Come la prossimità con i cittadini: è molto più veloce, c’è questa idea di istantaneità e poi l’intimità. Una comunicazione con un documento ufficiale è molto meno intima rispetto ad una comunicazione via social. E poi c’è la possibilità di coinvolgere maggiormente l’elettorato nella propria vita privata, come postare un giro in bicicletta o una corsa nella natura. Quindi è più facile per condividere i sentimenti».
C’è anche una interazione?«Sì, non si tratta di una dinamica unidirezionale, perché non c’è solo il politico che parla e i cittadini che ascoltano, come in un comizio, ma può esserci uno scambio di commenti. Tuttavia nella politica svizzera non ci sono molti soldi da investire in questi aspetti, ma penso si stia andando nella direzione di credere maggiormente in questa comunicazione ».
Davvero i social possono contribuire a creare consenso?«Certo. Tuttavia è sempre molto difficile perché ci si trova comunque in un campo di divisione che riguarda la politica stessa, quindi spesso si fomentano commenti e discussioni cattive e agguerrite. Penso che i social siano una cosa in più, non si può fare tutta la politica lì, c’è l’aspetto amministrativo formale, ci sono i documenti, e si deve sempre sapere che cosa comunicare sulle piattaforme online».
I social si sono spesso rivelati un’arma a doppio taglio. Non si rischia di abbassare e semplificare il dibattito politico?«C’è sempre il rischio. Ma è vero che questo rischio si corre anche al di fuori dei social, alla Tv o alla radio. In Svizzera non siamo di fronte a questo tipo di dinamica, sui nostri giornali e Tv c’è la possibilità di avere discussioni approfondite su un tema. In altri Paesi invece, più grandi, come ad esempio il Canada, dove ho lavorato, ci sono anche discussioni di basso livello. In altri Paesi i colleghi mi dicono che per gli editori è impossibile pubblicare discussioni troppo impegnative, perché i lettori non le seguono ».
Un politico può restare fuori dai social, come Ueli Maurer e Karin Keller-Sutter?«Per loro è facile, sono già al top della politica e possono decidere di non esserci, non penso che perdano appeal. Mentre per i politici meno conosciuti o i giovani non è una possibilità. Oggi un politico giovane deve avere almeno un social. E pensiamo ad altri Paesi come gli USA, i politici sono quasi obbligati ad avere un profilo social per il fundraising, raccogliere soldi e sovvenzioni, è dunque il sistema politico che li incentiva».
Qual è il social più adatto per fare politica?«Dipende sempre dall’obbiettivo, ma penso che il più adatto sia Twitter. Trump ci ha fatto tutta la sua campagna elettorale. Ed è anche quello che anima più commenti al vetriolo».
Infine, esiste un problema di sicurezza per un politico?«Diciamo che è un problema. Ma lo è anche per tutte le istituzioni pubbliche svizzere. Penso che oggi un politico deve prendere tutte le misure per proteggersi, ma anche da parte dello Stato ci debbano essere delle regole chiare. Il vantaggio del nostro sistema politico è che non c’è un’unica persona che decide. Il potere è molto diffuso. E quindi già questa è una protezione».
Ma avere regole chiare?«Sì, aggiornate e pensate con specialisti del mestiere, informatici professionisti, questo aiuterebbe. Forse si sta andando più nella dinamica della professionalizzazione della politica e questo è un bene, perché la comunicazione politica è una cosa importante e se ben fatta è davvero efficace: può sembrare strano ma in politica è più vincente una politica sbagliata ma con una comunicazione efficace che viceversa».