Il reportage

C'è qualcosa di ticinese in Langstrasse, la strada del peccato di Zurigo

Al Lugano Bar e in altri locali è previsto (o comunque tollerato) l'adescamento diffuso: le prostitute - provenienti da tutto il mondo, spesso irregolari - si mischiano al via vai sui marciapiedi, sedute davanti alle vetrine o ai tavolini dei kebabbari
© CdT/Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
29.01.2023 07:00

Le insegne dominano la Langstrasse, vecchie e sbiadite. Dietro le vetrine protette da inferriate quattro ragazze nigeriane spiano la via con occhi spenti. La zona a luci rosse di Zurigo offre uno spettacolo poco rassicurante già alle 13 di mercoledì: tra urla, ubriachi, camionette della polizia che vanno e vengono davanti agli spacciatori ammiccanti agli incroci - «wollen Sie etwas?» - c’è anche qualcosa di ticinese. Come il Locarno 2000. Formalmente un karaoke all’angolo con la Dienerstrasse, in gergo «contact-bar»: punto d’incontro tra professioniste del sesso e clienti con camere annesse. Se ne contano decine nel raggio di cinquecento metri. 

Il modello zurighese

Ma il più tristemente noto è un altro locale «italofono». Il Lugano Bar, al numero 108. Un omaggio alla città sul Ceresio che, gradito o meno, offusca una distanza non solo geografica: niente di più lontano dalle verdi pendici del San Salvatore, con gli ordinati postriboli di Pazzallo. Il «modello» Langstrasse prevede (o comunque tollera) l’adescamento diffuso: le prostitute - provenienti da tutto il mondo, spesso irregolari - si mischiano al via vai sui marciapiedi, sedute davanti alle vetrine o ai tavolini dei kebabbari. «Only fifty francs», propone una donna sudamericana ferma sulle strisce pedonali. Solo cinquanta franchi.

Droga e violenza

I prezzi di saldo sono uno dei segnali del degrado del quartiere a luci rosse più grande della Svizzera. Gli zurighesi lo chiamano «Chreis Cheib» (quartiere maledetto), o «Sündenmeile» (strada del peccato). Il declino è iniziato negli anni ‘70, con la chiusura delle fabbriche di quella che un tempo era la Little Italy sulla Limmat, e non si è più fermato tra micro-criminalità, abusivismo ed emergenza sociale crescente. La storia del Lugano Bar lo dimostra. Il 6 gennaio 2002 il locale assurge agli onori delle cronache per un tragico fatto di sangue: un 35.enne italiano viene ucciso a colpi di pistola nella tromba delle scale che portano ai piani superiori, alle camere in affitto utilizzate dalle prostitute per accogliere i clienti, ma anche da tossicodipendenti e spacciatori come base per traffici e festini. A sparare è un 30.enne svizzero sotto l’effetto di stupefacenti, un passato di piccoli crimini e dipendenza da eroina e alcol. La causa del dramma, ricostruiranno gli inquirenti: un diverbio da corridorio. Una ragazza bussa alla porta sbagliata - «cercavo della cocaina» racconta al processo - volano schiaffi, spunta la pistola. Oltre all’inquilino italiano, raggiunto sulle scale da 14 proiettili, c’è un’altra vittima:la fidanzata di lui, intervenuta per dividere i due litiganti.

«Non cambiamo nome»

Poteva essere la fine di tutto. Ma a varcare oggi la soglia del locale l’impressione è che niente sia cambiato da quel giorno di 20 anni fa. Stesso portone usurato, stessi manifesti cadenti delle foto che, all’epoca, rimbalzarono sui giornali. Dentro, nella penombra del bancone e della sala fumatori, avventori e dipendenti sembrano non ricordare o non vogliono parlarne. «La gestione è cambiata, non c’entriamo niente», mette le mani avanti il nuovo proprietario. Le quattro ragazze nigeriane se ne vanno alla spicciolata per evitare attenzioni. «Abbiamo altro a cui pensare», taglia corto il 50enne di origini turche. Il locale è mezzo vuoto: «Dopo la pandemia gli affari non si sono mai ripresi, le autorità hanno penalizzato molto il settore della prostituzione e la clientela ora non è più quella di prima. Vale per tutta la strada, non solo per noi». 

Dopo gli omicidi, in realtà, sembrava che le cose dovessero migliorare. Il palazzo viene venduto, gli acquirenti hanno in progetto di trasformare il postribolo in un hotel garni, con annesso un bar sportivo. Ma i piani falliscono, in pochi anni tornano le prostitute,  i tossicodipendenti. Le origini del  locale si perdono  tra i cambi di proprietà. «È uno dei più storici della Langstrasse, avrà oltre sessant’anni», assicura un avventore un po’ agè. La leggenda vuole che il fondatore fosse originario di Lugano. «Io invece ho sentito dire che una squadra luganese di calcio o di hockey, non ricordo, un giorno prese in affitto tutte le camere durante una trasferta e il locale fu battezzato in loro onore», racconta il gestore, che sul Ceresio non c’è mai stato e in Ticino solo una volta, ma a Bellizona. A cambiare il nome comunque, quale che sia l’origine, non ci ha pensato e non ci pensa affatto. «Perché dovremmo? È un posto conosciuto dopotutto». 

La mafia nigeriana 

Tristemente conosciuto. Di recente, se non bastasse il resto, ad attirare i riflettori sulla struttura è arrivato un altro inquilino poco raccomandabile: la mafia nigeriana. Proprio nel Lugano Bar sono state raccolte, l’anno scorso, le prime testimonianze in Svizzera di ragazze africane vittime del gruppo criminale «Black Axe». Reclutate  con false promesse dagli emissari dell’organizzazione e costrette a prostituirsi con minacce e riti tribali, occupano per lo più i tre piani superiori dell’edificio  (al primo piano invece alloggerebbero soprattutto sudamericane e ragazze dell’Est). Le loro tristi storie sono nascoste dietro un portone sul retro che, dopo un recente servizio della NZZ, è inaccessibile. Le ragazze all’ingresso non rivolgono la parola a chi non è cliente («No entry - si schermiscono - sorry, sorry»). Ma le condizioni di sfruttamento e sovraffollamento sono venute alla luce da tempo in tutta loro  drammaticità. Complice anche la pandemia. Nell’ottobre 2021 la situazione era finita sul tavolo delle autorità a  seguito di un episodio grottesco: una rissa tra le prostitute e due poliziotti intervenuti per intimare la quarantena a una ragazza risultata positiva al contact-tracing. Ne parlarono i giornali di mezza Svizzera. Come conseguenza ben 47 prostitute nigeriane furono poste in isolamento per settimane, suscitando la preoccupazione di associazioni e servizi sociali: risoltarono  alloggiate in cinque per stanza, a prezzi esorbitanti e in condizioni igieniche precarie.

La Langstrasse della perdizione è tanto lunga che, forse, non finisce mai. Pochi mesi prima l’autore del duplice omicidio era uscito di prigione dopo una pena di 17 anni. Ad aprile è stato condannato di nuovo per spaccio di stupefacenti. Al processo ha giurato - stando ai media - di voler cambiare strada.

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