Guerra

Conferenza sull'Ucraina: «Dal vertice arrivi la pace»

Gli ucraini in Ticino si aspettano dall'URC2022 di Lugano anche soluzioni per fermare subito la guerra
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
26.06.2022 11:10

Una conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina senza il «popolo» ucraino. «A meno di colpi di scena non ci saremo. Anche se abbiamo tentato, anche se abbiamo bussato a tutte le porte». Maya Budkova, presidente dell’associazione Amicizia dei popoli, ha lo sguardo che si colora di un’ombra scura. Anche se i suoi occhi sono verdi. Con l’associazione da quando sono scoppiati la guerra e l’emergenza profughi non ha mai smesso di darsi da fare per aiutare. Prima spedendo aiuti nel suo Paese. Poi sostenendo i suoi connazionali arrivati in Ticino, che sono circa 2.500. Un’iniziativa dietro l’altra. L’ultima, una piattaforma che permette ai profughi di trovare lavoro, ha ricevuto «anche un sostegno finanziario da una banca molto importante», precisa. Una marea di iniziative. Tutte per aiutare. Senza mai fermarsi. Ecco perché «un mese fa, quando abbiamo saputo della Conferenza - riprende - ci è sembrato giusto scrivere all’ambasciatore ucraino a Berna chiedendo di essere presenti alla conferenza almeno come entità».

La lettera è partita. È la risposta a non essere arrivata. E non è andata meglio bussando altrove. Tutto sbarrato. Chiuso. «Però almeno ci abbiamo provato», sottolinea facendo scomparire l’ombra scura dagli occhi. Perché alla fine «conta seguire la propria strada. Un giorno, ne sono convinta, verranno loro da noi».

La pace e la diplomazia

Intanto ci sono una marea di altre iniziative da programmare, preparare. Anche se l’attenzione degli ucraini in Ticino rimane puntata sulla conferenza che si svolgerà il 4 e il 5 luglio a Lugano. Che vedrà la partecipazione del presidente della Confederazione, Ignazio Cassis, della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelenskyy (fisicamente o virtualmente), e di rappresentanti di circa 40 Paesi e 18 organizzazioni internazionali. «Da quello che sappiamo sarà focalizzata sulla ricostruzione dell’Ucraina, con la presenza, tra gli altri, anche di aziende ticinesi - riprende Budkova - sarebbe però bello che nel corso del vertice fossero trovate anche delle soluzioni che possano portare alla conclusione della guerra. Perché non dimentichiamolo, i bombardamenti stanno continuando».

Un vertice sulla pace, dunque. Non solo sulla ricostruzione. È questo l’auspicio della comunità ucraina in Ticino. Anche se non tutti sono così ottimisti. Yuri Hlibovezkiy, anche lui dell’associazione, è uno di questi. «Non penso che in questa conferenza verrà trovata la pace - spiega -. Anche perché i consigli valgono poco. Per terminare il conflitto serve la precisa volontà dei due Paesi in guerra».

Ogni morto è di troppo

Vanno bene insomma la diplomazia, ’impegno. Ma alla fine «a contare è quello che vuole fare davvero il mio Paese», precisa Hlibovezkiy. Che si spiega meglio. «L’Ucraina, anzi il popolo ucraino dovrebbe chiedersi fino a dove vuole arrivare. Vuole riavere tutte le città perse e continuare a combattere? Oppure fermarsi? Solo quando si vorrà dare una risposta a queste domande si capirà quando e come può essere fermata la guerra».

La cronaca dal fronte sembra però chiara. Inequivocabile. Le ostilità continuano. Da ambo le parti. «I civili che sono stati reclutati negli ultimi giorni stanno andando a combattere in prima linea», conferma Budkova. E sempre aperti sono anche i canali di rifornimenti di armi provenienti dai Paesi europei e dagli Stati Uniti. Hlibovezkiy scuote la testa. Non si dà per vinto. «Tutti vogliono la pace, ma nessuno si impegna davvero a trovarla. È assurdo. Ogni morto, ogni morto in più è una tragedia per una madre che perde il proprio figlio».

Domani a chi tocca?

La preoccupazione cresce. Non si ferma. Anche in chi vive in Ticino. E dà una mano. Come può. «Siamo molto preoccupati - conferma Budkova - ma non solo per quello che sta succedendo in Ucraina. Siamo preoccupati che un domani quello che è capitato a noi possa toccare anche a qualcun altro». Alla Georgia, per esempio. O alla Moldavia. O anche alla Lituania. Che si aspetta azioni di rappresaglia da parte russa per il blocco di Kaliningrad. «Putin ha sdoganato un sistema, la motivazione culturale e storica. L’ha usato per invadere l’Ucraina e potrebbe essere imitato anche da altri Paesi. Con la stessa logica tutto il mondo potrebbe entrare in un conflitto continuo, basti pensare a Israele». O a Taiwan, l’isola rinvendicata dalla Cina. Che non a caso sta guardando con molto interesse quanto sta capitando in Europa.

Un’epoca nuova

«Siamo entrati in un’epoca nuova che coinvolge tutta l’Europa». La presidente dell’associazione è convinta. «La Russia sta derubando il mio Paese delle sue risorse, prende tutto senza permesso, a iniziare dal grano. Ma questo furto non sta mettendo in difficoltà solo il mio Paese, ma l’intero Continente». Grano, mais, orzo e olio di girasole. Prima dell’invasione russa, l’Ucraina era in grado di esportare fino a 6 milioni di tonnellate di cereali al mese, la maggior parte dei quali dal porto di Odessa. Che oggi è però controllato da Mosca. Così come le acque attorno alla città. Costrigendo l’UE e gli Stati Uniti a cercare una soluzione per far uscire 20 milioni di tonnellate di grano dall’Ucraina entro la fine di luglio. E abbassare anche i prezzi. Schizzati verso l’alto.

«Forse non ce ne rendiamo ancora completamente conto perché viviamo in una Nazione benestante come la Svizzera - sottolinea Budkova - ma presto ce ne accorgeremo e proveremo sulla nostra pelle cosa vuol dire pagare di più per avere le stesse cose di prima». In realtà già oggi il rincaro dei prezzi, secondo l’Ufficio federale di statistica, è stato quasi del 3%. Non ancora un salasso. Ma quasi. Anche perché ad aumentare potrebbero essere presto l’affitto, la bolletta, la benzina, la sanità, l’abbonamento Internet e telefonico, la spesa, il ristorante, le sigarette, i vestiti.

«Quanto sta succedendo in Ucraina - riprende Budkova - dovrebbe obbligare i politici a cercare davvero una strategia per uscire dalla guerra e dalla crisi economica e alimentare che si sta abbattendo sull’Europa». Serve insomma una via d’uscita. Subito. Magari già i prossimi 4 e 5 luglio. Quando tutto il mondo guarderà a Lugano.

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