L'analisi

In Ucraina è in atto un urbicidio

Alcuni analisti hanno riproposto un termine per descrivere cosa sta succedendo: l'assassinio di intere città per infliggere ferite profonde e rendere il Paese debole
Guido Olimpio
Guido Olimpio
26.06.2022 07:00

In questi mesi di crisi in Ucraina le teorie e le ipotesi si sono accavallate. Dallo scenario di un confronto rapido con i russi che prendono in pochi giorni Kiev si è passati a quello peggiore, con la guerra d’attrito. E le operazioni militari si sono allungate, con i contendenti a scambiarsi una serie di colpi infiniti in un fronte relativamente ristretto. Sviluppo temuto con conseguenze devastanti anche per i non combattenti.

Alcuni analisti hanno riproposto un termine «freddo», forse persino troppo tecnico, però preciso nell’indicare la sostanza: urbicidio, ossia l’assassinio di intere città. Nel tentativo di piegare il nemico i russi non si sono fermati davanti a nulla. Certo, capita in ogni conflitto, ma per lo Stato Maggiore di Mosca la tattica di spazzare via tutto è una costante. Durante la spedizione in Cecenia, negli anni Novanta, i soldati hanno demolito interi quartieri di Grozny diventati trincee. Poi, più di recente, hanno riservato lo stesso trattamento a decine di località in Siria, dove sono intervenuti per puntellare il regime di Assad. In ogni occasione c’è sempre un pretesto: per sventrare Aleppo hanno classificato i loro avversari come «estremisti, terroristi, jihadisti». Ora non c’è dubbio che una parte della ribellione siriana abbia una componente radicale, ma le cannonate sono state distribuite «a pioggia», senza troppe distinzioni.

Il disastro

Quando Vladimir Putin ha dato l’ordine di invadere il territorio ucraino si è inventato la lotta ai «nazisti», scusa utile per cancellare un popolo. I numeri raccontano di quasi 12 milioni di profughi interni ed esterni, le testimonianze confermano il disastro. Intere industrie incenerite, stessa sorte per infrastrutture e reti logistiche, poi gli ospedali colpiti dai raid, le ferrovie fatte saltare per aria, le stazioni trasformate in bersagli, gli aeroporti inutilizzabili, i porti e il grano bloccati.

Il disastro è la conseguenza di elementi contingenti e strategici. La resistenza, per cercare di frenare l’assalto e non regalare chilometri quadrati all’aggressore, ha trasformato alcune località in avamposti. Mariupol e Severodonetsk sono diventati simboli di una lotta ad oltranza, il combattimento nei centri abitati ha dato un vantaggio a chi doveva difendersi. Dunque era inevitabile che fossero esposti alle bordate dell’Armata.

Cosa resta?

Al tempo stesso, però, i generali del Cremlino hanno scatenato l’inferno. Per impartire una punizione collettiva all’avversario, per seminare il terrore, per infliggere ferite così profonde da rendere il paese debole, dipendente dall’assistenza straniera (fintanto che questa ha volontà e risorse). La tenacia mostrata dagli ucraini, le perdite subite dai Battaglioni del neo-zar, le difficoltà incontrare in alcune regioni, la disponibilità relativa di munizionamento di precisione hanno contribuito ad aggravare il quadro. Ecco i villaggi trasformati in luoghi inospitali, ecco i campi arati da migliaia di ordigni, ecco ancora i residuati inesplosi che renderanno difficile la vita per chiunque abbia il coraggio e il desiderio di tornare alle proprie case. Sempre che siano rimaste in piedi.

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